Il diritto all’identità di genere in Spagna: la Legge 4/2023 sui diritti delle persone LGBTQI+

La disciplina sulla rettificazione del sesso da un punto di vista comparatistico

Di A. Riccioli, Dottoranda di scienze giuridiche presso l’Università di Pisa

Il principio dell’autodeterminazione di genere. La Ley 4/2023, de 28 de febrero, para la igualdad real y efectiva de las personas trans y para la garantía de los derechos de las personas LGTBI sancisce il diritto all’autodeterminazione di genere (benchè, a differenza delle leggi regionali in materia, il termine “autodeterminación” non venga mai utilizzato). La legge prevede la possibilità di ottenere la rettifica del sesso e del nome sulla base unicamente di una dichiarazione di volontà del soggetto richiedente (art. 44), senza prevedere il coinvolgimento di alcun tipo di specialista: né un medico, né uno psicologo, né un funzionario della giustizia. Coerentemente, non sono richiesti testimoni, né è necessario dover in alcun modo provare che il genere in cui il richiedente si riconosce sia anche esternato socialmente (art. 44.3).

L’obiezione di coscienza (la cui base costituzionale fa riferimento all’articolo 30.2 della Costituzione spagnola, benchè venga espressamente prevista soltanto in riferimento al contesto militare) è ritenuta, nelle situazioni qui considerate, inapplicabile, essendo l’istituto soggetto alla competenza del Consejo Nacional de Objeción de Conciencia (come disciplinato dal Real Decreto 551/1985 e sancito dalla Corte Costituzionale, che nella sentenza n. 160/1987 ha confermato la legittimità della Legge 48/1984 sull’obiezione di coscienza). 

La legge risulta essere pienamente in linea con quanto espresso nei Principi di Yogyakarta (Principles on the application of international human rights law in relation to sexual orientation and gender identity, Yogyakarta, 2017), in particolare con il terzo, secondo cui: «(…) Each person’s self-defined sexual orientation and gender identity is integral to their personality and is one of the most basic aspects of self-determination, dignity and freedom. No one shall be forced to undergo medical procedures (…). No one shall be subjected to pressure to conceal, suppress or deny their sexual orientation or gender identity», e con il trentasettesimo (inserito nei Yogyakarta Principles plus 10, Geneva, 2006), posto a tutela del «right to recognition before the law», il quale prevede che gli Stati debbano «take all necessary legislative, administrative and other measures to fully respect and legally recognise each person’s self-defined gender identity» (punto B).  

Tra tutti i valori democratici su cui si basa l’acquis comunitario, la legge 4/2023 fa riferimento soprattutto all’articolo 4 della Dichiarazione Dei Diritti Dell’uomo E Del Cittadino (1789), in cui si afferma che: «la liberté consiste à pouvoir faire tout ce qui ne nuit pas à autru (…)». L’identità di genere è intimamente legata al rispetto della dignità umana, come sancito dalla Corte costituzionale spagnola nella sentenza 67/2022, in cui si stabilisce che «la identidad de género es una circunstancia que tiene que ver con el libre desarrollo de la personalidad, íntimamente vinculada al respeto de la dignidad humana (art.10 .1 CE)» (sebbene la sentenza si riferisca a un recurso de amparo che non è stato accolto dalla Corte).

Legge 4/2023. La presente legge prevede la possibilità per tutti i cittadini spagnoli, di età superiore ai 16 anni, di richiedere unilateralmente e liberamente la rettificazione del sesso. Prevede, inoltre, che i cittadini di età compresa tra i 14 e i 16 anni debbano essere assistiti dai loro rappresentanti legali e che quelli di età compresa tra i 12 e i 14 anni necessitino di un’autorizzazione giudiziaria per ottenere la rettifica. 

La legge prevede una procedura a doppia comparizione (art. 44): la persona che presenta la richiesta verrà convocata entro un periodo massimo di tre mesi dalla prima comparizione per ratificare la sua volontà originaria in una seconda comparizione. Mutatis mutandis, un simile intervallo di tempo era stato previsto anche nei casi di aborto. La Ley Orgánica 2/2010, de 3 de marzo, de salud sexual y reproductiva y de la interrupción voluntaria del embarazo(emendata nel 2015), ex art. 14 b), prevedeva un periodo minimo di riflessione di almeno tre giorni, che decorrevano dal momento della richiesta. Questa previsione è stata recentemente modificata dalla Ley Orgánica 1/2023, de 28 de febrero, por la que se modifica la Ley Orgánica 2/2010, de 3 de marzo, de salud sexual y reproductiva y de la interrupción voluntaria del embarazo, anche imporre un periodo minimo di riflessione per accedere alla procedura abortiva è stato ritenuto frutto di un approccio di carattere paternalistico insito nel sistema legislativo nei confronti delle donne. Tali discussioni sono tuttora in corso per quanto riguarda la disciplina italiana, con riferimento alla Legge n. 194/ 1978, Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, che prevede un tempo di riflessione di sette giorni, salvo i casi di procedure urgenti (art. 5). 

La legge 4/2023, come detto, stabilisce una procedura di doppia comparizione con una ratio simile ai casi appena richiamati: prevedere un periodo di riflessione tra un primo momento informativo (la prima comparizione) e un secondo momento (la seconda comparizione) in cui il soggetto conferma la sua volontà di rettificare il proprio sesso, che deve avvenire entro tre mesi dalla prima comparizione. Tuttavia, sembra irragionevole l’indicazione di un termine massimo e non (anche) di un termine minimo tra i due momenti, poiché, data la ratio che giustifica una comparizione doppia e non unica, sarebbe astrattamente possibile che la prima e la seconda comparizione avvengano in un intervallo di tempo troppo breve.

Durante la prima comparizione, la legge 4/2023 prevede che vengano fornite al soggetto interessato tutte le informazioni relative alle conseguenze legali della rettifica richiesta, compresa la possibilità di inversione della stessa, le procedure di rettifica in altri ambiti (salute, lavoro, istruzione, ecc.), le misure di protezione contro eventuali discriminazioni e le associazioni o altri organismi che sviluppano programmi per proteggere i diritti delle persone transessuali (art. 45.5). 

Sulla base del principio di autodeterminazione, la legge prevede la reversibilità della procedura (dopo un periodo minimo di sei mesi) e il recupero dello status originario. Anche in questo caso, è garantita la possibilità di presentare nuovamente la domanda di rettifica, ma in tal caso è richiesto un controllo giudiziario (art. 47). 

La legge 3/2007, del 15 marzo, denominata legge sulla «rectificación registral de la mención relativa al sexo de las personas», era il riferimento normativo previgente circa la possibilità di richiedere la rettifica anagrafica del sesso assegnato alla nascita e del nome in uno ritenuto in linea con la propria identità di genere. La legge prevedeva a tal fine diversi requisiti: una relazione sulla disforia di genere rilasciata da un medico o da uno psicologo e almeno due anni di trattamento medico per adattare le caratteristiche fisiche a quelle corrispondenti al sesso dichiarato. In ogni caso, gli stranieri e i minori erano esclusi da questa possibilità. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 99/2019 del 18 luglio, ha dichiarato incostituzionale l’esclusione totale dei minori, ritenendo sproporzionato escludere anche coloro che, seppur minori di età, presentino un livello di maturità sufficiente e si trovino in situazione transgender stabile. 

Sul punto, rispetto alla legge precedente, la legge 4/2023 sembra essere più equilibrata, fissando il limite di accesso alla rettificazione del sesso all’età di 12 anni [1]. Inoltre, per facilitare la vita quotidiana dei minori di quell’età, la Legge 4/2023 prevede che i minori, che soddisfino o meno i requisiti per la rettifica della menzione del sesso, abbiano il diritto di cambiare il proprio nome per motivi di identità sessuale nel Registro Civile (articolo 48). 

Inoltre, la legge stabilisce che i cittadini i cui Paesi non consentono di richiedere la rettifica del sesso e del nome, possano richiederla almeno relativamente alla documentazione amministrativa fornita loro dalla Spagna, applicando gli stessi requisiti stabiliti dalla presente legge (tranne, ovviamente, quello di essere in possesso della cittadinanza spagnola, come stabilito dall’art. 50).

Comunidades autónomas. Il diritto all’autodeterminazione di genere così inteso, prima ancora di essere garantito dalla Legge 4/2023, era già stato tutelato attraverso le leggi delle

Comunidades autónomas, per consentire a tutti di identificarsi nel sesso percepito in quegli ambiti – tanto pubblici, quanto privati – posti sotto la giurisdizione della Comunidad Autónoma di competenza. Queste normative regionali prevedono un unico meccanismo di comparizione (eventualmente attuabile anche non in forma fisica, ma attraverso dispositivi digitali), senza la necessità di fornire alcuna documentazione aggiuntiva e senza un periodo di riflessione con doppia comparizione. 

L’applicazione delle normative in questione ha riguardato soprattutto casi di persone in fase di transizione verso una nuova identità di genere, che non soddisfacevano i requisiti previsti dalla Legge 3/2007 (o perché non ancora sottoposti a trattamento medico o perché non lo avevano fatto nei due anni precedenti la richiesta). 

Sebbene le leggi delle Comunità autonome non prevedano formalmente la reversibilità della richiesta di registrazione amministrativa, non consentirla sembra incoerente con il rispetto del principio di autodeterminazione di cui le leggi sono poste a tutela. Pertanto, è possibile che si verifichino casi di diniego giudiziario e che la rettifica venga comunque annotata nei registri amministrativi delle Comunità autonome. Inoltre, le leggi regionali, la cui applicazione non è subordinata ad alcun limite di età, continueranno a rappresentare una valida alternativa per i minori di 12 anni. 

Dato che la procedura stabilita dalla Legge 4/2023 comprende anche la modifica della carta d’identità nazionale, del passaporto (art. 49, co. 1) e di qualsiasi altro documento («la persona interesada o su representante voluntario o legal podrán solicitar la reexpedición de cualquier documento, título, diploma o certificado ajustado a la inscripción registral rectificada, a cualquier autoridad, organismo o institución pública o privada, cualquiera que sea su naturaleza», ex art. 49, co. 2), è probabile che le procedure alternative previste dalle leggi regionali vengano gradualmente ridotte.

Un confronto con la disciplina italiana. In Italia, il riferimento normativo è la Legge 164/1982 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), di cui permangono numerosi profili critici anche dopo la modifica del 2011 (attuata con D. Lgs 150/2011). Uno degli aspetti più controversi della legge riguarda i requisiti previsti per l’accesso alla rettificazione. Originariamente, infatti, non era specificato se la rettificazione della menzione del sesso potesse essere effettuata a seguito di un trattamento ormonale (che modifica, cioè, solo i caratteri sessuali secondari) o se fosse necessaria la rettificazione anche dei caratteri sessuali primari. Sia la Corte di Cassazione che la Corte Costituzionale hanno affrontato la questione, sottolineando il diritto di ogni persona a scegliere il percorso medico ritenuto più idoneo, purché la scelta di rettifica del sesso sia definitiva e chiara (in riferimento al cambiamento, almeno, dei caratteri sessuali secondari, Cass. n. 15138 del 2015, dovendo bilanciare il diritto all’identità di genere con «l’interesse pubblico alla certezza delle relazioni giuridiche»). Entrambe le Corti hanno ritenuto ineludibile un accertamento giudiziale rigoroso delle modalità con cui è avvenuto il cambiamento di sesso, pur comunque sottolineando che l’intervento chirurgico non può essere obbligatorio, ritenendolo solo «uno strumento eventuale, di ausilio al fine di garantire, attraverso una tendenziale corrispondenza dei tratti somatici con quelli del sesso di appartenenza, il conseguimento di un pieno benessere psichico e fisico della persona» (così Corte Cost. Corte Cost. n. 221 del 2015 che afferma anche che l’elemento volontaristico non è sufficiente, conf. Corte Cost. n. 180 del 2017). Infine, la Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ, Sez. I, ord. 5 dicembre-17 febbraio 2020, n. 3877), esprimendosi circa il diritto a modificare il proprio nome nel rispetto della propria identità di genere, ha chiarito che la rettifica del nome è consequenziale alla rettifica del sesso («il riconoscimento del primario diritto alla identità sessuale, sotteso alla disposta rettificazione dell’attribuzione di sesso, rende consequenziale la rettificazione del prenome (…)»), prevedendo la possibilità di cambiare il proprio nome indipendentemente dal nome attribuito alla nascita, affermando che il nuovo nome scelto dalla persona non deve necessariamente essere ricavato adattando quello attribuito alla nascita al nuovo genere, (« (…) dovendo il giudice tener conto del nuovo prenome, indicato dalla persona, pur se del tutto diverso dal prenome precedente»). Tuttavia, la libertà nella scelta del nuovo nome si scontra con l’obbligo di coerenza con il sesso indicato nel registro anagrafico, dato che: «(…) tale indicazione [del nuovo prenome] sia legittima e conforme al nuovo stato» (parentesi aggiunte). In ogni caso, il diritto alla libera scelta del nome è ritenuto un diritto inviolabile ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 e 22 della Costituzione italiana e dell’art. 6, comma 3, del Codice civile italiano, venendo coerentemente anche riconosciuto anche il diritto alla cancellazione della precedente identità (c.d. “diritto all’oblio“). 

Confronto con altri Stati. Fra le diverse legislazioni statali, l’obiettivo comune è quello di garantire il diritto delle persone a vivere dignitosamente secondo il proprio genere. Una delle modalità possibili per raggiungere l’obiettivo riguarda la semplificazione della procedura di modifica anagrafica, sulla base di un pieno esercizio del diritto all’autodeterminazione, eliminando l’obbligatorietà di una diagnosi sulla salute mentale per la rettificazione del sesso. 

Diversi Stati europei rappresentano modelli ammirevoli sul punto: Danimarca (2014), Irlanda (2015), Malta (2015), Francia (2016), Belgio (2017), Grecia (2017), Portogallo (2018), Lussemburgo (2018), Finlandia (2023) [2]; tuttavia, manca una lettura pacifica inter-statale sul principio di autodeterminazione e sul bilanciamento che ad esso si collega. In Germania, ad esempio, i requisiti per cambiare il sesso e il nome erano originariamente gli stessi: la perdita della capacità riproduttiva e un intervento chirurgico per adeguare i caratteri sessuali della persona a quelli dell’altro sesso, ma la Corte costituzionale federale (1 BvR 3295-07, Corte costituzionale federale, Germania, 11 gennaio 2011) ha dichiarato incostituzionali tali requisiti, prevedendone di nuovi: 1) la percezione di non appartenere più al genere registrato alla nascita, 2) l’aver vissuto per almeno tre anni in modo corrispondente all’altro genere, e 3) il fatto che si possa presumere con alta probabilità che tale percezione non cambierà di nuovo (il riferimento è alla Transsexuellengesetz , c.d. “Transsexual law“, del 1980). 

Per quanto riguarda gli altri Stati extraeuropei, paesi come l’Argentina (Ley de Identidad de Género, nº 26743 de 2012), il Cile (Ley nº. 21120/2018, modificata nel dicembre 2022), Costa Rica (Reglamento del Registro del Estado Civil, Decreto nº 6/2011), la Colombia (Decreto nº. 1227/2015 e Corte Costituzionale colombiana, sentenza T-080/15), l’Uruguay (Ley Integral para Personas Trans, Ley nº. 19684 de 2018, decretata dal Decreto n. 104 de 2019) e l’India (Tribunal Supremo National, Legal Services Authority v. Union of India (2014) 5 S.C.C. 438 (5)), hanno previsto, negli ultimi anni, discipline ampiamente tutelanti il diritto di autodeterminazione di genere, prevedendo discipline che non richiedono certificati psicologici o medici per la rettificazione del sesso, basandosi solo sulla dichiarazione di volontà del soggetto interessato. 

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