“Le ragazze stanno bene?”Riflettendo sulla violenza di genere 

FRANCESCA RESCIGNO*

Il 14 febbraio, giornata dedicata agli innamorati, è stata lanciata da Save The Children la campagna #chiamalaviolenza, al fine di sensibilizzare le giovani generazioni al tema della violenza di genere. L’occasione è stata fornita da un’indagine sulle relazioni affettive tra i teenager condotta dall’organizzazione in collaborazione con IPSOS, il Dipartimento giustizia minorile e di comunità, le Unità di servizio sociale per minorenni e gli Istituti penali per minorenni. Il rapporto finale intitolato «Le ragazze stanno bene?» ha rivelato dati sconcertanti sulle convinzioni dei nostri (e nostre) adolescenti rispetto alle relazioni affettive[1]

Il 65% degli adolescenti che hanno partecipato all’indagine ha raccontato, indipendentemente dal sesso, di essere stato/a almeno una volta oggetto di controllo da parte del partner che ha richiesto di non accettare contatti da qualcuno/a sui social (nel 42% dei casi), non uscire più con delle persone (40%), poter controllare i propri profili sui social (39%), di non vestirsi in un determinato modo (32%) o ha minacciato in un momento di difficoltà di commettere un gesto estremo o farsi del male (25%). Una percentuale quasi analoga di adolescenti (il 63%) ha ammesso di avere avuto a propria volta comportamenti di questo tipo nei confronti di altre persone. Oltre la metà degli adolescenti (il 52%) sarebbe stata vittima almeno una volta di comportamenti violenti del/della partner, come essere chiamati con insistenza al telefono per sapere dove ci si trovava (34%), essere oggetto di linguaggio violento, grida e insulti (29%), essere ricattati per ottenere qualcosa che non si voleva fare (23%), ricevere con insistenza la richiesta di foto intime (20%), essere spaventati da atteggiamenti violenti (schiaffi, pugni, spinte, lancio di oggetti, 19%) o la condivisione con altri di foto intime senza consenso (15%). Il 47% ha ammesso di aver avuto a propria volta comportamenti simili nei confronti del/della partner.

Molti degli intervistati considerano la gelosia una forma di amore, condividere le password dei propri account social con il partner una prova di fedeltà e persino accettabile che in una relazione a due “ci scappi” uno schiaffo ogni tanto.

Sono dati allarmanti che possono essere facilmente accostati a quelli relativi alle violenze e ai femminicidi che riguardano i rapporti affettivi tra adulti[2] anche perché verosimilmente ne rappresentano il prologo, insomma stiamo crescendo i futuri maltrattatori e le prossime vittime e dobbiamo necessariamente domandarci come possiamo evitare che questo macabro copione si ripeta all’infinito.

La risposta del diritto alla violenza di genere si è concentrata soprattutto sulla punizione dei colpevoli[3], aspetto certamente di estrema importanza ma che non esaurisce, né risolve il problema. Dopo il tragico omicidio di Giulia Cecchettin la questione della violenza di genere è tornata prepotentemente alla ribalta, probabilmente a colpire così profondamente l’opinione pubblica è stata la giovane età della vittima e del suo omicida portatore di stereotipi patriarcali che si pensavano estranei al contesto delle relazioni giovanili. Ma, vale la pena sottolineare come la violenza di genere sia la più “democratica” delle forme di interazione degli esseri umani, colpisce ad ogni latitudine, in ogni condizione economica e a qualsiasi età, per cui lo stupore e lo sgomento suscitati dall’uccisione di Giulia sono ingiustificati così come non dirimente è stato il successivo intervento legislativo sanzionatorio assunto alla fine del 2023 denominato “Codice rosso rafforzato” (Legge n. 168 del 2023). 

L’approccio penale è importante, ma non risolutivo, e allora cosa possiamo fare per arginare un fenomeno che sembra essere inarrestabile? 

Ritengo che prima di arrivare nelle aule dei tribunali, sia necessario arrivare nelle aule scolastiche; l’indagine di Save The Children ha evidenziato come in un quadro generale decisamente preoccupante ci siano aspetti positivi e primo tra tutti va evidenziato l’aumento di interesse dai parte degli adolescenti verso le tematiche di genere. Il 58% degli adolescenti dichiara di essere diventato più sensibileai temi di genere e il 43% ritiene che sarebbe utile uno sportello psicologico a scuola per sensibilizzare sul tema della violenza di genere. Per quanto riguarda gli altri strumenti che la scuola può introdurre per sensibilizzare i ragazzi/e sulla violenza di genere, gli adolescenti indicano la formazione dei docenti in modo che siano in grado di intercettare/cogliere i segnali (40%); l’educazione sulle varie forme di violenza, le radici e le conseguenze (39%); e l’introduzione dell’educazione sessuale ed affettiva dalle scuole medie (32%). 

Educare, insegnare a rispettare, questo è compito di tutte e tutti gli educatori, anche di noi costituzionaliste, promuovere la “rivoluzione del rispetto” perché si affrontino e demoliscano gli stereotipi su cui poggia la violenza di genere.  

Per la scuola il “cavallo di Troia”, fino ad oggi non efficacemente utilizzato, è rappresentato dall’Educazione Civica, 33 ore di insegnamento annuali introdotte dalla legge n. 92 del 2019 che descrive tre capisaldi: lo studio della Costituzione, lo sviluppo sostenibile e la cittadinanza digitale, e considerando che alla base della costruzione costituzionale si trova l’eguaglianza (anche quella senza distinzione di sesso), ritengo sia giunto il momento di portarla nelle scuole di ogni ordine e grado. 

Anche l’Università può e deve svolgere un ruolo virtuoso in questo processo educativo, soprattutto perché le università, in confronto alle scuole, presentano l’indubbio vantaggio di possedere già le competenze necessarie per realizzare corsi multidisciplinari volti ad affrontare e combattere gli stereotipi e la violenza di genere, per cui lo possono fare senza l’imposizione di nuovi oneri finanziari per lo Stato, ma semplicemente utilizzando le capacità e le esperienze già presenti. Basterebbe volerlo.

Pare evidente che, se non verrà intrapresa una vera “rivoluzione del rispetto”[4] non potremo sperare che i nostri giovani conoscano la differenza tra possesso e amore e non potremo nemmeno meravigliarci che il contatore delle vittime di femminicidio continui la sua assurda ed incessante corsa. 

La responsabilità di verificare se effettivamente “le ragazze stanno bene” è anche nostra e non possiamo dimenticarlo.


[1] Cfr. https://www.savethechildren.it/blog-notizie/adolescenti-e-violenza-di-genere-onlife-le-ragazze-stanno-bene

[2] Il 18 dicembre 2023 è stato presentato il consueto Report a cura del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale della polizia criminale, sul monitoraggio e andamento dei reati riconducibili alla violenza di genere. I dati elaborati sono acquisiti su base settimanale offrendo una panoramica degli omicidi volontari con specificità riferita a quelli che coinvolgono le donnenel triennio 2020-2022 e dal 01/01/2023 al 17/12/2023. Rispetto al 2022, per quanto concerne i delitti in ambito familiare e affettivo, si evidenzia un aumento, così come riportano tutte le statistiche di monitoraggio dei femminicidi, da 139 a 141 del 2023.  Nel 2023 in Italia si sono stati registrati 330 omicidi, di questi 120 sono donne. Oltre la metà degli omicidi sono attribuiti al partner o all’ex partner della donna uccisa e circa il 20% ad altri parenti. In particolare, 4 omicidi su 5 avvengono quindi nell’ambito familiare ristretto o allargato. Si parla di una donna «uccisa per amore» circa ogni 3 giorni. 

[3] Per completezza si ricorda che la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, nota anche come Convenzione di Istanbul, del 2011 ratificata dall’Italia con la Legge n. 677 del 2013, prevede la c.d. struttura delle 3 P: Prevenzione, Protezione e Punizione a cui si può aggiungere una quarta P relativa alle Politiche integrate per affrontare un fenomeno dalle proporzioni così spaventosamente ampie.

[4] Cfr. https://www.youtube.com/watch?v=6CPMA0zGA7Q

*Professoressa associata di Istituzioni di Diritto Pubblico e Diritto delle Pari Opportunità, Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali – Università di Bologna.

Scarica il contributo

Condividi questo post

guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments