Il Tar Lazio interviene ancora a garanzia dell’effettività del principio della parità di genere

Laura Lorello*

La vicenda oggetto della decisione del Tar Lazio, (Sezione Quinta Bis) del 28 maggio 2025, n. 15521[1], costituisce un’ulteriore dimostrazione di quanto il principio della parità di genere dell’art. 51.1 Cost., e in specie quello della parità di accesso agli organi elettivi, si stia consolidando nella giurisprudenza amministrativa, più volte protagonista di interventi di tutela.

Rispetto ad altri casi passati, il giudizio è scaturito dalle doglianze avanzate, con ricorso del dicembre 2024, da 49 Ordini Territoriali degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, sui 105 esistenti, riguardo alla circolare del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori (CNAPPC) del 28.11.2024 n. 148 “Approvazione ministeriale del Regolamento recante norme per le elezioni degli Ordini territoriali e del Consiglio Nazionale con modalità telematiche e per la tutela di genere” e alla delibera dello stesso Consiglio n. 1560 del 13.11.2024, con la quale era stato approvato il “Regolamento recante norme per le elezioni degli ordini territoriali e del Consiglio nazionale con modalità telematiche e per la tutela di genere[2], per la violazione che le nuove disposizioni regolamentari relative alla promozione della parità di genere avrebbero prodotto rispetto a disposizioni di rango costituzionale e ordinario.

Non si tratta, quindi, come in altri casi passati, di un giudizio promosso per tutelare il principio della parità di genere ma di un giudizio contro le nuove previsioni, introdotte per la sua garanzia.

Ancora, dunque, un esempio delle incrostazioni tuttora presenti nel nostro contesto culturale e sociale.

Le disposizioni costituzionali delle quali si lamenta la lesione sono gli artt. 3 e 48, riguardo ai quali i ricorrenti affermano: “(…) che il nuovo regolamento elettorale, che prevede innovative disposizioni, oltre che per la “modalità telematica da remoto” in attuazione della normativa emergenziale di cui al decreto legge n. 137/2020 convertito con modificazioni dalla legge n. 176/2020, anche per la modalità di voto “in presenza”, introduce surrettiziamente modifiche sostanziali al d.P.R. n.169/2005, atto normativo insuscettibile di essere modificato con un atto di “rango inferiore” quale un regolamento del Consiglio nazionale”[3].

Viene, quindi, lamentata la violazione del principio di eguaglianza e del diritto di voto, nelle sue diverse sfaccettature, perché le nuove disposizioni regolamentari avrebbero operato surrettiziamente, su una fonte di grado superiore, il Dpr n. 169 del 2005, con ciò alterando l’ordine costituzionale delle fonti del diritto.

Il Tar, nella consapevolezza della necessità di dare una rapida soluzione alla controversia, ha deciso di procedere in breve tempo alla trattazione del merito, con udienza fissata per il 28 maggio 2025, data nella quale, come dichiarato dal difensore del CNAPPC, 87 Ordini territoriali avevano già concluso regolarmente le procedure elettorali sulla base del nuovo regolamento e provveduto alla proclamazione degli eletti e dato che, “soprattutto, non risulta essere stato presentato nessun reclamo elettorale”[4].

Già questa circostanza contribuisce alla sensazione della natura pretestuosa dell’impugnazione, che lo stesso Tar non manca di rilevare, prima ancora di entrare nella parte motiva della decisione: “Il Collegio ritiene di prescindere dalle eccezioni di rito sollevate dal Consiglio nazionale resistente poiché il ricorso introduttivo, come integrato dai motivi aggiunti in epigrafe indicati, è infondato nel merito e va, pertanto, respinto”[5].

E’ significativo che il giudice amministrativo avvii le sue argomentazioni precisando la natura giuridica del Consiglio Nazionale e degli Ordini Territoriali, allo scopo di evidenziarne il carattere di soggetti pubblici, di tipo associativo, dotati di autonomia regolamentare, disciplinare, patrimoniale e finanziaria[6].

Questo inquadramento serve al Tar per includere gli stessi nel compito promozionale previsto dall’art. 51.1 Cost., nella formulazione aggiornata nel 2003: “A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”, inserendoli, in tal modo, nella nozione di Repubblica, scelta volutamente dai Costituenti[7].

E, infatti in un passaggio successivo, il Tar afferma la necessità del “coinvolgimento di tutti i pubblici poteri”, tra i quali non esita a collocare i Consigli Nazionali degli Ordini professionali, sui quali ricade “l’obbligo di introdurre le opportune misure per il rispetto della parità di genere”[8].

Questo argomento viene, però, opportunamente, saldato con l’esigenza di dare “una corretta lettura dell’art. 51 della Costituzione”, che richiede di estendere il compito di promozione delle pari opportunità oltre la competenza del legislatore[9].

Richiamando la sentenza della Corte Costituzionale n. 62 del 2022, il giudice amministrativo rileva “la natura ormai pacificamente vincolante e immediatamente precettiva riconosciuta all’art. 51 Cost.”, e ne trae le conseguenze, riportando le parole della Corte: “una disciplina elettorale che omettesse di contemplare adeguate misure di promozione, o che ne escludesse l’applicazione a determinate competizioni elettorali o a determinate categorie di enti, non potrebbe che essere ritenuta lesiva della citata previsione costituzionale»”[10]. In sostanza, una normativa elettorale che non contempli disposizioni volte a garantire la parità di accesso alle cariche elettive è incompatibile con la Costituzione.

Nel caso della sentenza della Corte Costituzionale n. 62 del 2022, si trattava della disciplina relativa all’elezione dei consigli in comuni con meno di 5.000 abitanti, elezione per la quale la normativa di settore non prevedeva alcuna misura sanzionatoria nel caso di liste di candidati prive di una composizione paritaria. E la Corte, con una innovativa decisione, definita “a rime possibili”, ha non solo dichiarato incostituzionale la normativa impugnata nella parte in cui non prevedeva l’esclusione delle liste elettorali non rispettose del principio della parità di genere, ma ha indicato la possibile soluzione sanzionatoria da applicare, in attesa della revisione legislativa, ovvero, appunto, l’esclusione della lista, già prevista per i comuni con più di 15.000 abitanti e suggerita dal giudice rimettente.

Stabilita la natura immediatamente precettiva e vincolante dell’art. 51.1 Cost., il Tar fa un passo ulteriore, che tocca proprio l’aspetto più rilevante delle doglianze, ovvero il fatto che attraverso una disposizione di natura regolamentare il Consiglio Nazionale dell’Ordine abbia in realtà modificato il contenuto del Dpr n. 169 del 2005, fonte di rango superiore al regolamento.

Il giudice amministrativo è qui di diverso avviso, ritenendo l’intervento normativo del Consiglio addirittura necessitato, poiché, dato il carattere precettivo dell’art. 51, esso non avrebbe potuto fare altro che introdurre le misure promozionali della parità di genere, “non essendogli consentito esercitare il potere regolamentare secondo modalità solo formalmente rispettose della legge ma sostanzialmente in contrasto, per ammissione dello stesso organo, al precetto costituzionale”, ciò anche considerato che la “ridetta disposizione costituzionale opera come parametro di legittimità, tanto dell’azione legislativa che di quella amministrativa”[11].

In altri termini, l’esigenza di garantire la parità di accesso alle cariche elettive è in grado di prevalere sul rispetto solo formale della gerarchia delle fonti: risulta, dunque, più in sintonia con il dettato costituzionale un regolamento che rispetti il principio della parità di genere incidendo su una fonte di rango superiore, piuttosto che un atto regolamentare che si adegui al contenuto della fonte primaria ma si ponga in contrasto con i principi della Costituzione.

La necessaria conseguenza è che “in virtù della ricordata valenza immediatamente precettiva riconosciuta all’art. 51 Cost. dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa”, il Consiglio Nazionale risultava “gravato di uno specifico obbligo di adottare un regolamento elettorale che contenesse, “anche ad integrazione della disciplina del d.P.R. n.169/2005”, le misure ritenute più opportune per porre rimedio alla condizione di sotto-rappresentanza del generefemminile nei propri organi elettivi”[12].

A coronamento del suo ragionamento, il Tar conclude affermando che il potere normativo del Consiglio Nazionale di adottare un regolamento di modifica delle procedure elettorali, con lo scopo di inserire disposizioni relative alla promozione delle pari opportunità, trova la sua base giuridica direttamente nell’art. 51 Cost.[13], e ciò vale a superare la questione del mancato rispetto della gerarchia delle fonti, un mancato rispetto che per il giudice amministrativo ha l’obiettivo di assicurare l’effettiva operatività di un principio costituzionale. Peraltro, ricorda il giudice amministrativo, l’intervento normativo del Consiglio Nazionale si collocava in un contesto di “silenzio del legislatore ordinario” e di “inerzia dell’esecutivo” nel disporre la modifica del Dpr n. 169 del 2005[14].

La decisione del Tar, come si è cercato di evidenziare, presenta aspetti innovativi e rassicuranti sull’affermazione del principio della parità di accesso alle cariche elettive nel nostro sistema costituzionale. Un’affermazione che, come è noto, ha conosciuto un avvio lento e un percorso accidentato, trovando riscontro, in tempi più recenti, tanto nella legislazione statale e regionale, quanto nella giurisprudenza costituzionale e amministrativa.

Sul piano costituzionale, in particolare, la Corte Costituzionale ha seguito un cammino non semplice, condizionato dal contesto sociale e culturale del nostro Paese, che l’ha portata dalla originaria chiusura verso qualsiasi forma di promozione delle pari opportunità da parte del legislatore (sentenza n. 422 del 1995) a una graduale apertura, prima verso il meccanismo delle quote di lista (sentenza n. 49 del 2003) e poi verso la misura della doppia preferenza di genere (sentenza n. 4 del 2010), fino ad arrivare alla citata sentenza n. 62 del 2022, nella quale non si è fermata alla constatazione della incostituzionalità della normativa impugnata, ma ha proposto l’introduzione di una sanzione, scelta tra quelle previste dalla legislazione vigente in materia e suggerita dal giudice rimettente, con l’obiettivo di dare immediata e piena efficacia all’art. 51.1 Cost.

In questo cammino il principio delle pari opportunità ha gradualmente conquistato effettività, espressione da intendere nel senso di operatività immediata, precettività, vincolatività diretta per tutti i soggetti dell’ordinamento, senza il bisogno di alcuna intermediazione del legislatore, e, adesso, come affermato dal Tar Lazio, parametro della legittimità delle scelte legislative e dell’azione amministrativa.

Non di rado, tuttavia, queste qualificazioni non hanno inciso in modo significativo sulla composizione delle assemblee e degli organi elettivi in generale, permanendo nella selezione delle candidature quelle incrostazioni di cui si diceva all’inizio.

Decisioni come quella del Tar Lazio, tuttavia, mantengono ferma la direzione intrapresa e rendono impossibile solo pensare che si possa tornare indietro.


*Professoressa ordinaria in Diritto costituzionale presso l’Università degli studi di Palermo

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[1] Tar Lazio, (Sezione Quinta Bis) 28 maggio 2025, n. 15521, p.4 ss.

[2] L’impugnazione riguardava anche e ai relativi allegati, tra cui le “Regole applicative ed integrative in materia di candidature, votazioni e valutazione della regolarità delle schede”, nonché a tutti gli atti connessi del CNAPPC e del Ministero della Giustizia.

[3]Tar Lazio, (Sezione Quinta Bis) 28 maggio 2025, n. 15521, p.4 ss., pp. 6-7.

[4] Ibidem, p. 8.

[5] Ibidem, p. 9.

[6] Ibidem, p. 10.

[7] Il Tar precisa anche il Consiglio, adottando le nuove disposizioni, si è allineato a quanto già stabilito da altri Ordini  professionali, Tar Lazio  sentenza  p. 11.

[8] Tar Lazio, (Sezione Quinta Bis) 28 maggio 2025, n. 15521, pp.11-12.

[9] Ibidem, p. 11.

[10] Ibidem, p. 11.

[11] Ibidem, p. 12.

[12] Ibidem, p. 12.

[13] Ibidem, p. 12.

[14] Ibidem, pp. 12-13.

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