Capo dello Stato e politica estera

*ALBERTO RANDAZZO

1. Talune osservazioni preliminari di natura teorico-generale sul ruolo del Presidente della Repubblica

In una contingenza storica come quella attuale, drammaticamente segnata da guerre particolarmente vicine ma anche caratterizzata da un processo sempre più avanzato sia di integrazione fra gli Stati che, in generale, di globalizzazione, accompagnato da una sempre più spiccata deterritorializzazione e da una crescente limitazione delle sovranità statali, il ruolo che, nell’ambito della politica estera può svolgere (e ha svolto) il Capo dello Stato, nell’esercizio della funzione di garanzia che gli è propria e che esercita anche in qualità di rappresentante dell’unità nazionale, può rivelarsi prezioso, purché – com’è chiaro – non esorbitante i confini segnati dalla Carta costituzionale. Volgendo lo sguardo all’esperienza, non si può infatti negare (e sottovalutare) il fatto che uno degli ambiti che, negli anni, ha maggiormente e variamente risentito dell’influenza del Presidente della Repubblica, pur non rientrando (almeno formalmente) tra le attribuzioni della più alta carica dello Stato, sia stato quello – appunto – della politica estera. A tal proposito, è possibile chiedersi se quanto ora detto (e quanto si dirà) sia sufficiente a configurare un autonomo “potere estero” del Presidente della Repubblica.

Riconducibile, com’è noto, alla competenza del Governo e, specificamente, della coppia Presidente del Consiglio-Ministro degli Esteri (con tendenziale compressione del ruolo del Consiglio dei ministri), tale settore è stato interessato molte volte, durante la storia repubblicana, dagli interventi – più o meno incisivi – di coloro che si sono succeduti al Quirinale. Tipicamente rientrante nell’area (e nell’attività) di indirizzo politico, dalla quale è escluso – come tutti sanno – il Presidente della Repubblica, la politica estera ha risentito di una serie di fattori di natura soggettiva e oggettiva che hanno portato ad un maggiore o minore interventismo del Capo dello Stato. Sul punto, si tornerà a breve.

Per prima cosa, si è dell’idea che quanto da ultimo detto non debba portare a concludere (necessariamente) che, quando i Presidenti della Repubblica si sono mostrati maggiormente presenti in politica estera, si siano avute delle “rotture” della Costituzione, per i motivi che ora si diranno. 

Si è convinti che il Capo dello Stato, pur non essendo organo di indirizzo politico (e quindi organo “politico”) sia in grado – legittimamente – di incidere su quest’ultimo, essendo dotato – al pari della Corte costituzionale – di una ineliminabile “forza politica” (T. Martines) che si traduce nell’“influenza che egli è in grado di esercitare sull’indirizzo politico” e che accompagna, senza stravolgere, il ruolo di garanzia che la Carta gli assegna nell’ambito della forma di governo parlamentare (che, almeno fino ad oggi, grazie alla sua intrinseca “elasticità”, non pare essere stata intaccata).

A tal proposito, non si può fare a meno di rilevare che l’assetto costituzionale ha in parte risentito del ruolo svolto nell’ordinamento statutario dal Monarca, tanto che le attribuzioni costituzionali che appaiono direttamente riconducibili alla sfera della politica estera sono un retaggio del passato. Il riferimento, com’è chiaro, è all’VIII e al IX comma dell’art. 87 Cost. (che, comunque, com’è noto, non esaurisce il complessivo novero dei poteri del Capo dello Stato) e, quindi, all’accreditamento e al ricevimento dei rappresentanti diplomatici, alla ratifica dei trattati internazionali, al comando delle Forze armate, alla presidenza del Consiglio supremo di difesa, alla dichiarazione dello stato di guerra deliberato dalle Camere.

Se quelle ora richiamate – come detto – sembrano le attribuzioni presidenziali connesse alla sfera della politica estera, è vero, però, che la maggiore incidenza del Capo dello Stato in quest’ambito si è avuto nell’esercizio di altre prerogative presidenziali. La prassi, infatti, il cui rilievo appare determinante ai fini dell’individuazione di una più esatta “collocazione” del Presidente nell’ordinamento repubblicano, mette in luce la rilevante attività di esternazione e di moral suasion che, anche al riguardo, hanno svolto i diversi inquilini del Quirinale, durante i viaggi all’estero e le visite di Stato (preziose occasioni di cura delle relazioni con gli altri Paesi), ma non solo.

Infatti, non si può fare a meno di rilevare che il contributo offerto nell’ambito in discorso dal Capo dello Stato, negli anni, sia stato tutt’altro che notarile. D’altra parte, vale la pena di ricordare che i costituenti non volevano fare del Presidente della Repubblica un “fainéant” ossia un “evanescente personaggio”, un “motivo di pura decorazione”, un “maestro di cerimonie” (com’è chiaro, si fa riferimento al noto intervento di V.E. Orlando). Tutt’altro. Come ebbe a dire M. Ruini, si voleva che il Capo dello Stato fosse un soggetto istituzionale dotato “di consistenza e solidità di posizione nel sistema costituzionale”, come poi è di fatto accaduto.

Sia nell’ambito della politica interna che in quello della politica estera, la più alta carica dello Stato ha assunto un ruolo viepiù crescente all’acuirsi di momenti di crisi di natura politica o economica, divenendo – sul primo piano – prezioso “ago della bilancia” e “fattore” riequilibratore del sistema e – sul secondo piano – interlocutore privilegiato di partners europei o internazionali. A quest’ultimo proposito, per ciò che in questa sede specificamente interessa, si ricordi il ruolo svolto dal Presidente Napolitano in un momento in cui – intorno al 2011 – il IV Governo Berlusconi aveva perso credibilità verso l’esterno.

È allora, ancora una volta, quel mix di fattori oggettivi (ossia il contesto e le condizioni nei quali un capo dello Stato si trova ad operare) unitamente a quelli soggettivi (dati da una ineliminabile caratterizzazione della carica: Martines) a fare ampliare o restringere i poteri presidenziali, secondo la nota e fortunata immagine della “fisarmonica” (la cui paternità è condivisa da Amato e da Pasquino).

Pur non aderendo alla nota tesi di Esposito per la quale il Presidente della Repubblica sarebbe da considerare il “reggitore dello stato di crisi”, è certo che l’esercizio dei poteri presidenziali – in un continuo dinamismo che ricorda il mare che sbatte sopra la battigia e poi si ritrae – abbia agevolato il superamento di situazioni di grave impasse. Al riguardo, a chi scrive è sempre apparsa molto suggestiva la tesi di Barile, pure in qualche misura ripensata dallo stesso A., dell’indirizzo politico costituzionale del quale sarebbe portatore il Capo dello Stato. Non è possibile soffermarci sul punto nel poco spazio qui a disposizione.

2. Il rilievo della prassi, un richiamo al passato con uno “sguardo” particolare al ruolo svolto in politica estera dal Presidente Napolitano

Come si diceva, appare fondamentale, per riflettere sulla figura e sul ruolo finora svolto dal Presidente della Repubblica (anche) in politica estera affidarci all’esperienza. È infatti da rilevare che la prassi, lungi dall’essere meramente descrittiva, appare essere, almeno in qualche misura, anche “prescrittiva”, in grado cioè di delineare i “tratti” dell’immagine presidenziale all’interno del nostro o di altri ordinamenti. L’esperienza, infatti, “integra, attua e, talvolta, modifica, le disposizioni scritte, incorporando e concretizzando le lezioni che provengono dalla realtà effettuale” (G. Silvestri).

Quanto ora detto appare ancora più avvalorato se si pensa, sulla base dell’insegnamento di Einaudi, che “è dovere del presidente della Repubblica di evitare si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell’occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la costituzione gli attribuisce”; in altre parole, ad ogni Capo dello Stato spetta di lasciare intatte le prerogative del suo predecessore, senza dare spazio a possibili arretramenti della carica.

In una continua integrazione (e, a volte, tensione) tra dettato costituzionale e prassi applicative, queste ultime sono parse molto influenti, riuscendo anche a “dilatare” il ruolo della più alta carica dello Stato grazie alla “elasticità e fluidità” (M.C. Grisolia) che la connota.

Senza poter indugiare sul punto, è possibile osservare come i Capi dello Stato che si sono succeduti dal 1946 a oggi abbiano variamente inciso in politica estera. In questa sede, non è possibile richiamare i numerosi casi ai quali, al riguardo, è possibile fare riferimento. Pertanto, al fine di delimitare l’oggetto di questa riflessione, si intende soffermare l’attenzione solo sulla Presidenza attuale e su quella precedente, riservando solo un cenno a presidenze risalenti. 

A mo’ di esempio, si possono ricordare le frequenti riunioni di Einaudi con i vertici militari nonché la partecipazione dello stesso al Congresso dell’Aja del 1948.

Tutti sanno, volgendo lo sguardo più indietro, come Gronchi si caratterizzò per una intensa (e, fino ad allora, inusuale) attività di politica estera e ad un uso delle esternazioni particolarmente vistoso, in uno scenario internazionale che in quel momento era “da brividi” (G. Passarelli). 

Si pensi anche a Segni e a Saragat che, fino al momento delle elezioni al Quirinale, erano ministri degli esteri. I due furono coinvolti in una vicenda nella quale il primo, da Capo dello Stato, rifiutò alcune nomine di ambasciatori proposte dal secondo (al tempo, appunto, ministro degli esteri) e deliberate dal Consiglio dei ministri.

Si può anche ricordare la nota vicenda dei controllori di volo che riguardò Pertini nonché il “patriottismo costituzionale” e la “politica comunitaria” di Ciampi (S. Rossi).

Volendo però focalizzare l’attenzione, come si diceva, su tempi a noi più vicini, non si può fare a meno di ricordare l’incisivo ruolo svolto da G. Napolitano durante la sua lunga permanenza al Quirinale. Alcune tra le tante vicende che si potrebbero richiamare paiono sufficienti a suffragare quanto si sta ora dicendo. Ad esse, in modo estremamente sintetico, si intende fare ora riferimento.

In primis, si pensi all’interventismo del Capo dello Stato in parola in occasione della crisi libica. Era il 2011 ed era appena scoppiata la c.d. “primavera araba”. Già prima della risoluzione n. 1973 dell’ONU del 17 marzo 2011, che di fatto ha dato il via allo scoppio della guerra, Napolitano, in visita in Germania, aveva avuto modo di esprimersi in merito alla situazione, già degenerata, in cui versava la Libia, per poi intervenire con ancora più vigore all’indomani dell’inizio delle operazioni belliche da parte della coalizione, mostrando così di volere svolgere un ruolo di primo piano nelle scelte strategiche da prendere in quel delicato frangente. Infatti, al di là dell’essere un mero spettatore delle vicende internazionali, Napolitano affiancò il Governo nel definire la posizione italiana in guerra e, soprattutto, nel partecipare a pieno titolo al processo decisionale attivatosi con l’inizio delle operazioni.

È poi possibile anche ricordare la nota vicenda dell’acquisto dei velivoli Joint Strike Fighter F-35. Il programma, nel 2012, aveva subìto un ridimensionamento per esigenze di natura economica e, nel 2013, alcune forze politiche avevano sollecitato un annullamento del programma stesso. Durante il settennato di Napolitano, il Parlamento ne aveva chiesto al Governo una revisione, con conseguente diminuzione dei costi. Tuttavia, tra il pronunciamento della Camera e quello del Senato, Napolitano convocò il Consiglio supremo di difesa volendosi quasi inserire tra i due passaggi parlamentari al fine di sottolineare la competenza in materia del Governo e influenzando non poco, quindi, l’operato del legislatore. Sulle ragioni di fondo che spinsero l’allora Capo dello Stato ad agire in tal modo non è necessario intrattenersi; certo è che, intervenendo in tale questione, l’organo presieduto dal Presidente della Repubblica (e, in quegli anni, molto valorizzato) ha finito per condizionare l’andamento della vicenda. In altre parole, in quella ed in una successiva occasione nella quale è stato convocato il Consiglio supremo di difesa, ma anche attraverso alcune esternazioni, Napolitano ha di fatto inteso legittimare (e, forse, anche sollecitare) l’acquisto degli F-35. Molti altri sarebbero, anche in questo caso, i passaggi di tale vicenda che si potrebbero ricordare, ma quanto detto sembra sufficiente a mettere in luce il protagonismo della più alta carica dello Stato nell’ambito di una questione di “pura” politica estera.

Ai due eclatanti casi ora accennati si potrebbero aggiungere molti altri, ma non è possibile farlo in questa sede (si pensi, ad es., alla missione in Libano e a quella in Afghanistan).

È solo possibile rilevare (e ricordare) l’europeismo convinto di Napolitano affermato con forza attraverso le innumerevoli esternazioni in Italia e all’estero (anche in merito alle missioni militari); si veda, inoltre, la regolare (e costante) convocazione del Consiglio supremo di difesa della quale si è detto e che – si ha motivo di ritenere – ha fatto dell’organo in discorso – che a partire da Ciampi aveva ricevuto nuovo impulso – una vera e propria sede “deliberativa” (e non solo consultiva). Non poche volte, come nel caso sopra ricordato, tale organo è stato convocato per sostenere le scelte politiche del Governo prima che il Parlamento potesse pronunciarsi in merito.

Si ricordi, poi, la grazia concessa da Napolitano nei confronti del col. USA Romano, una scelta di “politica internazionale”. 

A ciò si aggiunga, come accennato poco sopra, il fatto che Napolitano è stato considerato, molte volte, un importante punto di riferimento per gli altri leaders europei e internazionali, specie in occasione della grave crisi economica che ha investito anche l’Italia tra il 2008 e il 2014. Il nostro Presidente, in più occasioni, è dovuto intervenire per rassicurare l’Unione europea circa il fatto che il nostro Paese avrebbe rispettato gli impegni presi (come, ad es., fu con l’approvazione del c.d. Fiscal compact). Inoltre, non si trascuri la vicenda insolita della lettera congiunta della BCE, firmata da Trichet (in qualità di Presidente uscente) e Draghi (in qualità di Presidente designato), indirizzata all’Italia, con la quale il nostro Paese è stato esortato a porre in essere le misure necessarie per fronteggiare la crisi e alla quale Napolitano rispose in modo forte per tranquillizzare chi, oltre confine, ci guardava con non poca preoccupazione. 

Insomma, Napolitano è stato un abile “tessitore” di rapporti tra il nostro e gli altri Paesi e, non a caso, il giornale “The New York Times” chiamò il nostro Capo dello Stato “King George”.

Anche in riferimento a vicende di politica interna, si possono ricordare talune scelte indirettamente riconducibili alla politica estera. Si pensi alla scelta di Monti come Presidente del Consiglio, “una figura altamente conosciuta e rispettata in Europa e nei più larghi ambienti internazionali”, come ebbe a dire lo stesso Napolitano.

3. Cenni al ruolo svolto in politica estera dal Presidente Mattarella

Provando ora a riflettere sulla funzione svolta da Sergio Mattarella in politica estera, è possibile soffermarsi su molte vicende che paiono degne di nota; alcune di queste possono essere qui richiamate (non in ordine cronologico).

Sulla scia di G. Napolitano, anche l’attuale Presidente ha valorizzato il Consiglio supremo di difesa, che è stato convocato con una certa costanza, pure di recente. L’ultima riunione, infatti, è del 17 novembre u.s., quando – come si legge sul sito del Quirinale – è stato “confermato il pieno sostegno italiano all’Ucraina” e, in merito alla crisi sulla striscia di Gaza, si è ribadito che “una pace duratura nella regione è possibile solo attraverso il riconoscimento e la realizzazione della soluzione ‘due popoli due Stati’”. In quell’occasione, sono state, poi, analizzate anche numerose altre situazioni di crisi.

In generale, circa gli eventi bellici in corso, Mattarella ha espresso continuo sostegno all’Ucraina e si è molte volte pronunciato sulla crisi di Gaza.

Rispetto alle relazioni con gli altri Stati, si pensi alla risoluzione di un momento di crisi, nel 2019, che era scoppiata con la Francia, che aveva pure ritirato il suo ambasciatore a Roma. In questa vicenda, assai rilevante è stato l’intervento (dall’Angola) del Capo dello Stato al fine di ristabilire i rapporti tra i due Paesi, tanto che – appena sbarcato nuovamente in Italia – l’ambasciatore francese si è subito recato da Mattarella. Vi è poi stato uno scambio di visite tra Mattarella e Macron.

Significativo è stato il ruolo di Mattarella anche, ad es., nei rapporti con la Germania, legato – com’è – da una salda amicizia con Steinmeier, che ha incontrato più volte.

Si può anche ricordare la visita a Salonicco e l’incontro con il Presidente sloveno a Trieste.

Un altro episodio degno di nota è stato il colloquio tra Mattarella e l’ambasciatore iraniano, durante il quale il primo ha chiesto al secondo di rappresentare presso le autorità della Repubblica Islamica dell’Iran l’urgenza di porre immediatamente fine alle violenze rivolte contro la popolazione. Particolarmente rilevante è stata poi la stipula del “Trattato del Quirinale” con la Francia, firmato alla presenza del Capo dello Stato, che in quella circostanza aveva assunto “la regia delle trattative” (N. Carminati-A. Maccabiani).    

In merito all’uso delle esternazioni, Mattarella è parso particolarmente moderato, anche se non sono mancate dichiarazioni di considerevole rilievo, come quelle dalle quali emerge il costante (e non acritico) europeismo dell’attuale Capo dello Stato.

Una dichiarazione all’inizio della pandemia, il 12 marzo 2020, è parsa particolarmente significativa rispetto a quanto si sta dicendo; ad essa si aggiungano altre iniziative compiute dal Capo dello Stato durante il tempo della crisi sanitaria.

Da ultimo, in occasione della “Giornata internazionale per la Prevenzione e la Lotta ad ogni forma di crimine organizzato transnazionale” (11 novembre 2025), Mattarella si è espresso in modo molto chiaro anche a sostegno dell’ONU. In un’altra recente circostanza, il 24 ottobre 2025 (per l’80° anniversario delle Nazioni Unite), il Capo dello Stato ha definito “l’impegno italiano nelle Nazioni Unite [un] asse portante della politica estera del nostro Paese”.

Tra i tanti viaggi all’estero compiuti in tutti questi anni, Mattarella è stato il primo Presidente della Repubblica a recarsi in Vietnam, in Indonesia, in Costa d’Avorio e in altri Paesi. Degno di nota è anche quello che lo ha portato al confine tra Corea del Nord e Corea del Sud.

Assai significativo, poi, è stato il recente viaggio del Presidente della Repubblica in Germania per la “Giornata del lutto nazionale” (16 novembre 2025), in occasione della quale ha ribadito che “la guerra di aggressione è un crimine”. Qualche mese addietro Mattarella è stato in Giappone, dove – l’8 marzo 2025 – ha pure incontrato i sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, anche in questa occasione biasimando i richiami sconsiderati che oggi alcuni fanno all’uso delle armi nucleari. Il Capo dello Stato ha infatti espresso – a nome del nostro Paese – parole di ferma condanna verso la Federazione russa “promotrice di una rinnovata e pericolosa narrativa nucleare”. In termini altrettanto duri, Mattarella si è espresso anche nei confronti della Corea del Nord, sottolineando come sia il Giappone che l’Italia si siano resi “corresponsabili” di una “guerra disastrosa”. Il Presidente ha ribadito – peraltro – come “un multilateralismo efficace sia il miglior presidio per la pace” e ha sottolineato il rilievo della memoria quale “resistenza contro l’ignoranza”, ma anche “educazione alla pace, alla dignità umana, alla consapevolezza della fragilità della nostra esistenza”. Degno di nota è anche il colloquio, nel quale sono stati affrontati molti temi, che Mattarella ha avuto con il Primo ministro giapponese (5 marzo 2025).

Facendo un passo indietro, anche la concessione della grazia, nel 2015, a due agenti della CIA (Medero e Lady) sembra avere avuto alla base – come già accaduto con Napolitano – valutazioni di politica estera. 

Anche con Mattarella si è posto il problema dell’acquisto di 90 aerei F-35, ma in questo caso una parte del Governo era d’accordo con il ridurre le spese militari; in linea di continuità con Napolitano, l’attuale Capo dello Stato ha favorito il programma di acquisto, con ogni probabilità al fine di mantenere buone relazioni con gli USA (dove quei velivoli si costruiscono).

In generale, Mattarella ha molto lavorato per mantenere la fiducia degli investitori stranieri e rassicurare i mercati internazionali, anch’egli interlocutore privilegiato per i partners internazionali.  

Si pensi, almeno, a due vicende (formalmente) di politica interna fortemente condizionate da scelte di politica estera: il c.d. “caso Savona” e la nomina di Draghi come Presidente del Consiglio. In merito al primo caso, non è un segreto che le forti perplessità manifestate dal Presidente Mattarella, che hanno avuto l’aspetto di un vero e proprio rifiuto di nominare il Prof. Savona come Ministro dell’Economia, siano state dettate dal timore che quella nomina potesse comportare gravi inconvenienti nei confronti dell’UE e, in estrema sintesi, l’uscita dall’area-Euro (il docente universitario, infatti, pare che, nell’ambito di un Convegno, avesse prospettato un “piano B” per consentire all’Italia di abbandonare, qualora fosse stato necessario, la moneta unica).

Con riferimento al secondo caso, la nomina di Draghi ha avuto alla base motivazioni simili a quelle che portarono alla nomina di Monti, alla quale si è accennato poco sopra.

4. In definitiva, è possibile discorrere di un “potere estero” del Presidente della Repubblica?

Fermo restando che ogni settennato fa storia a sé e che non è possibile fissare elementi di continuità circa le modalità di esercizio dei poteri presidenziali, occorre rilevare che il raggio di azione di Napolitano e di Mattarella in politica estera ha risposto e risponde, in definitiva, ad una serie di esigenze comuni; in particolare, a quella di aderire (quasi come scelta dovuta) alle politiche dell’Unione europea e a quella di trasmettere “un’immagine unitaria” e al tempo stesso affidabile dell’Italia sul piano internazionale ed eurounitario, specie in tempo di crisi economica (cfr. M. Gorlani).

A questo punto, alla luce delle iniziali considerazioni di carattere teorico e degli spunti di riflessione che offrono, in particolare, le due Presidenze qui maggiormente richiamate, in riferimento al ruolo svolto dal Capo dello Stato nell’ambito delle relazioni internazionali, è opportuno chiedersi se sia configurabile un vero e proprio “potere estero” del Presidente della Repubblica. Si può senz’altro rilevare che l’individuazione del suddetto “potere” non mette a rischio il complesso sistema di pesi e contrappesi che connota la nostra Carta costituzionale a condizione che il Capo dello Stato rimanga fedele al suo ruolo di controllo e di garanzia e non “diventi” (o non aspiri a “diventare”) organo di governo ossia portatore di un “indirizzo concorrente o alternativo rispetto a quello governativo” (G. de Vergottini). Tuttavia, non si può fare a meno di rilevare che, spesso, è molto labile il confine tra ciò che al Presidente è consentito e ciò che non lo è.

Sebbene sia opportuno che la linea espressa dal Capo dello Stato (a parole o attraverso comportamenti) sia sempre previamente concordata con il Governo e, specificamente, con il ministro degli esteri e/o con il Presidente del Consiglio,nulla può dimostrare che ciò sia sempre accaduto e nulla, d’altra parte, può impedire alla più alta carica dello Stato di esprimersi senza avere prima concordato con il Governo una certa posizione o, semplicemente, una dichiarazione. È necessario, infatti, distinguere ciò che sarebbe opportuno (ossia il previo accordo tra il primo ed il secondo) e ciò che di fatto può accadere e che non è espressamente (e formalmente) vietato (e non integra le fattispecie dei reati presidenziali), come esprimere opinioni anche in contrasto con la linea governativa ma pur sempre rispettose del ruolo presidenziale di garanzia.

Sembra interessante notare che, negli ultimi settennati, le reazioni delle forze politiche sono apparse maggiormente veementi quando i Presidenti della Repubblica sono intervenuti in politica interna anziché in quella estera (ove, comunque, i rapporti sono connotati da una certa informalità). Ciò parrebbe confermare una certa accondiscendenza ed un implicito riconoscimento (con conseguente legittimazione) del ruolo svolto dagli inquilini del Quirinale sul piano delle relazioni internazionali. Quanto ora detto potrebbe avere talune motivazioni sulle quali, però, non ci si può adesso soffermare; certo è che i rapporti (tesi o distesi) tra Presidenti e Governo molto hanno influito, negli anni, sull’atteggiamento tenuto dai primi nelle due principali sfere della politica ora richiamate.

Com’è stato accennato, al di là dell’esercizio di attribuzioni sancite nell’art. 87 Cost. (si pensi, ad es., all’uso che è stato fatto del Consiglio supremo di difesa), è attraverso le dichiarazioni rese e i discorsi pronunciati in occasione di viaggi all’estero, di visite di Stato o ricevendo, al Quirinale, delegazioni di altri Paesi che i Presidenti si sono distinti per una certa presenza sul piano della politica estera. Pertanto, l’insieme delle prerogative presidenziali direttamente ricollegabili alla politica estera (alle quali si può aggiungere la rappresentanza dell’unità nazionale) espresse nella previsione costituzionale da ultimo richiamata e le attribuzioni informali (le esternazioni, in primis) costituiscono le tessere di un puzzle da comporre per rendere visibile l’“immagine” del potere estero del Capo dello Stato. Esso, pur non formalmente tipizzato ma dal rilievo tutt’altro che secondario, sarebbe quindi configurabile, ma la sua conformità alla Costituzione dipende dalle forme e dalle modalità attraverso le quali, in concreto, si esplica la suddetta “compartecipazione” del Presidente alla politica estera.

* Professore associato di Diritto Costituzionale e pubblico – Università degli studi di Messina

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