Abortire per costituzione

La libertà di aborto nella Costituzione francese: una riforma altamente simbolica, ma non solo.

Anna Maria Lecis Cocco Ortu

Per gentile concessione della rivista InGenere https://www.ingenere.it/articoli/abortire-per-costituzione

La proclamazione del risultato del voto che si è tenuto lunedì 4 marzo 2024 a Versailles, dove il Congresso (il parlamento francese in seduta comune) ha adottato il testo, è stata accompagnata da un lunghissimo applauso e da grande commozione. A quasi cinquant’anni dall’approvazione della legge promossa e ardentemente difesa da Simone Veil, la libertà di aborto entra nella Costituzione francese, che diventa così la prima carta costituzionale al mondo a garantirla esplicitamente.

Il momento è storico e l’attenzione della stampa internazionale è volta verso la Francia, tanto più in un contesto nel quale gli ordinamenti di altri paesi hanno invece intrapreso significative marce indietro in tema di accesso all’aborto. È infatti proprio in reazione all’onda d’urto provocata dalla sentenza Dobbs della Corte suprema degli Stati Uniti che si è (ri)aperto, in Francia, il dibattito sull’iscrizione dell’aborto nella Costituzione, su iniziativa di deputate e senatrici di diversi schieramenti politici. L’obiettivo esplicitamente rivendicato è quello di proteggere il diritto all’aborto entro i propri confini, ma anche di porsi come un faro per altri ordinamenti nel mondo. In tale contesto, questa revisione assume sicuramente un alto valore simbolico. Ma non solo.

Il dibattito che ha suscitato tale riforma è infatti appassionante non soltanto per l’evidente significato politico, ma anche da un punto di vista giuridico, in quanto rimanda ad una questione classica quanto essenziale: cos’è una Costituzione? Cosa ci si deve mettere dentro? E con quali finalità?

Queste domande hanno fortemente diviso il mondo politico e i costituzionalisti francesi negli scorsi mesi. Il presidente del Senato Gerard Larcher, esponente della destra dei Repubblicani, si era fortemente opposto alla revisione affermando che “una costituzione non è un catalogo di diritti sociali e societali”. Le sue parole facevano eco a quelle di un certo numero di costituzionalisti contrari ad una riforma costituzionale ritenuta inutile e inopportuna, e che ammonivano contro il rischio di aprire la strada a revisioni puramente simboliche che niente avrebbero a che vedere coi principi fondamentali dell’ordinamento giuridico. È un dibattito piuttosto classico quello sull’opportunità di includere all’interno delle costituzioni liste di diritti più o meno lunghe e dettagliate e con finalità più o meno simboliche; ma la scelta spetta appunto al potere costituente (originario o derivato).

La Costituzione, infatti, è il patto sociale di una società, nel quale questa iscrive i principi che intende proclamare ed elevare al più alto rango della protezione giuridica, sottraendoli alla disponibilità delle semplici maggioranze. Questa revisione ha dunque indubbiamente una portata simbolica, che già da sola la giustifica: in un momento storico in cui l’accesso all’aborto, dopo aver fatto dei passi in avanti in numerosi paesi negli ultimi 50 anni, diventa oggetto di restrizioni in diversi ordinamenti, la Francia proclama il suo attaccamento a questa libertà e la eleva al rango dei diritti e delle libertà fondamentali del suo patto sociale.

Ma al di là del valore simbolico, la riforma ha anche una concreta finalità giuridica che è quella di proteggere la libertà di aborto da eventuali attacchi da parte di future maggioranze politiche. Da questo punto di vista però, secondo le voci critiche, la riforma sarebbe poco utile, in quanto, da un lato, il diritto all’aborto non sarebbe seriamente minacciato nell’ordinamento francese e dall’altro, neanche questa revisione lo metterebbe al riparo da eventuali limitazioni legislative, poiché fa salva la competenza del legislatore nel disciplinare “le condizioni alle quali si esercita la libertà garantita alla donna di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza”.

Quanto al primo punto, se è vero che una marcia indietro in materia di diritto all’aborto sembra oggi inimmaginabile nell’ordinamento francese, la garanzia di tale diritto riposava fino ad oggi unicamente su una base legislativa. Sebbene in parlamento siano pochissime le voci che contestino apertamente la legge Veil (dei 72 parlamentari che hanno votato contro la revisione costituzionale, nessuno ha esplicitamente espresso la volontà di rimettere in discussione le attuali garanzie legislative), fuori dagli emicicli parlamentari invece, in Francia come altrove, non mancano le contestazioni da parte di esponenti politici e di associazioni e movimenti pro-vita nei confronti dell’attuale legislazione ritenuta troppo liberale. Com’è stato ricordato nel dibattito parlamentare, le associazioni femministe, e in particolare l’associazione “planning familial” che è in prima linea nella difesa del diritto all’aborto, subiscono regolarmente atti vandalici e di intimidazione da parte di gruppi di estrema destra o di movimenti per la vita. In un tale contesto, niente garantisce che una maggioranza politica sfavorevole alla libertà di aborto possa un domani voler apportare delle limitazioni significative alla legislazione attuale; limitazioni che, ad oggi, non avrebbero incontrato alcun ostacolo costituzionale, poiché la giurisprudenza costituzionale non proteggeva esplicitamente la libertà di abortire. Come ha ricordato la senatrice Mélanie Vogel, non bisogna aspettare che il diritto all’aborto sia minacciato per proteggerlo, ma bisogna approfittare della “fortuna di avere, nella società e all’interno del Parlamento, une maggioranza che considera l’aborto un diritto fondamentale”, poiché “non si assicura la casa quando va in fiamme”.

Ci si può tuttavia domandare se, nei termini in cui è stata approvata, la revisione costituzionale sia davvero in grado di garantire il diritto all’aborto contro qualunque tipo di restrizione. Chi ne denuncia la portata meramente simbolica ritiene di no, in quanto viene confermata ed anzi costituzionalizzata la competenza del legislatore a dettare le condizioni, e quindi i limiti, entro i quali si esercita la libertà di abortire garantita alla donna. Tale libertà, tuttavia, ed è qui che al legislatore si pongono a sua volta dei limiti, deve essere garantita alla donna. È possibile pertanto ipotizzare che, di fronte ad una riforma che riduca il termine legale dalle attuali quattordici a sei settimane, come avvenuto in Texas, o che reintroduca il termine di riflessione tra la decisione della donna e l’esecuzione dell’atto, assortito dell’obbligo per la donna di ascoltare il battito cardiaco del feto, come avvenuto in Ungheria, il Consiglio costituzionale dichiarerebbe tali riforme incostituzonali in quanto lesive della garanzia della libertà di aborto. La portata effettiva della norma dipenderà quindi dall’interpretazione che il Consiglio costituzionale darà a tale termine, che costituisce il cuore della disposizione.

Tale formulazione, inserita nel progetto di legge di iniziativa presidenziale che ha sostituito le iniziative parlamentari in corso di esame, costituisce infatti il compromesso tra il testo approvato dall’Assemblea nazionale (secondo cui “La legge garantisce l’effettivo e uguale accesso al diritto all’interruzione volontaria di gravidanza”) e quello meno garantista approvata dai senatori (secondi cui si sarebbe aggiunto, nell’articolo che enumera le materie riservate alla competenza del legislarore, che fra queste vi sono “le condizioni alle quali si esercita la libertà di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza”).

Mentre il dibattito politico si è focalizzato sulla differenza tra i termini “diritto” e “libertà”, che è invero irrilevante ai fini della protezione costituzionale, è in realtà proprio il riferimento alla garanzia, sparito nel testo approvato al Senato e riapparso nel progetto di legge presidenziale, a fare la differenza. Imponendo al legislatore l’obbligo di garantire la libertà di abortire, esso può costituire il fondamento per dichiarare incostituzionale qualunque riforma abbia per effetto una restrizione del diritto all’aborto così come attualmente previsto nell’ordinamento francese, come una sorta di clausola di non regressione implicitamente formulata, secondo le intenzioni delle prime firmatarie delle proposte di legge che hanno dato impulso alla revisione.

Se infatti questa riforma passerà alla storia con l’indicazione della sua paternità, che si deve al Presidente Macron e alla sua volontà di favorirne l’adozione grazie alla presentazione di un progetto di legge suscettibile di riunire la maggioranza parlamentare richiesta, questa modifica costituzionale è all’origine figlia di diverse madri, che hanno presentato e sostenuto le proposte di revisione che hanno preceduto l’iniziativa presidenziale: la deputata dell’opposizione di sinistra Mathilde Panot, prima firmataria del testo approvato dall’Assemblea nazionale e modificato dal Senato prima di essere sostituito dal progetto presidenziale, ma anche, in precedenza, la senatrice ecologista Mélanie Vogel, iniziatrice di un testo rigettato dal senato a ottobre del 2022, o ancora Aurore Bergé, deputata della maggioranza presidenziale e autrice di un’altra proposta. Cinquantatré anni dopo il manifesto delle 343, cinquantadue dopo il processo di Bobigny (è nel ricordo dell’avvocata Gisèle Halimi che il presidente Macron si è impegnato, l’8 marzo dell’anno scorso, a sostenere la revisione), il diritto all’aborto trova in Francia una protezione costituzionale. Come ricordato in questi giorni, tuttavia, questo importante traguardo, simbolico e giuridico, non deve offuscare i numerosi ostacoli che persistono, anche in Francia, per le donne che desiderano esercitare il proprio diritto all’aborto: dai tagli alla sanità che hanno comportato la soppressione di numerosi centri, alla remunerazione insufficiente dei medici che praticano l’aborto, alla persistenza della clausola di coscienza. Da qualche giorno, il diritto all’aborto gode della più elevata protezione giuridica. Ora non resta che vigilare sulla sua effettività.

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