CARLA BASSU*
Ringrazio la Commissione per l’invito a un confronto su un tema solo apparentemente di secondo piano, che in realtà tocca aspetti cruciali del nostro ordinamento costituzionale quali l’identità personale, la dignità, l’uguaglianza.
Il dato di partenza di ogni riflessione in materia e di tutti i disegni di legge che oggi siamo chiamati a commentare è chiaro e inequivocabile: l’imposizione esclusiva del cognome paterno alla prole è incompatibile con il sistema di democrazia paritaria stabilito dalla nostra Costituzione. Il principio di unità familiare, importantissimo, non può essere garantito con un criterio che risulti lesivo o sacrifichi il diritto di uguaglianza e l’identità personale. Occorre trovare una formula di trasmissione del cognome che salvaguardi l’unità familiare e l’ordine burocratico senza sacrificare i diritti fondamentali delle madri e dei figli: tutte le democrazie stabilizzate si sono adeguate, perché noi dovremmo essere da meno? Non è una cosa così destabilizzante…I ddl in esame danno risposte importanti in questo senso, che vedremo nel merito.
Intanto i presupposti, quale è il quadro entro il quale il legislatore (voi) deve muoversi? Primo presupposto: il nome è identità. La Corte Costituzionale, dopo essersi pronunciata più volte sin dal 1988 per richiamare il legislatore ad allineare la normativa italiana con il parametro costituzionale, nella sentenza n. 131/2022 ha usato una formula di efficacia formidabile: «L’automatica attribuzione del solo cognome paterno si traduce nella invisibilità della madre e «reca il sigillo di una ineguaglianza tra genitori che si riverbera e si imprime sulla identità del figlio, così determinando la contestuale violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione».
Questa è la motivazione di sintesi con cui la Consulta censura l’art. 262, comma 1 del Codice civile nella parte in cui prevede, con riguardo alla ipotesi del riconoscimento effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, che il figlio assume il cognome del padre, anziché prevedere che il figlio assume il cognome dei genitori, nell’ordine dai medesimi concordato, fatto salvo l’accordo – al momento del riconoscimento, per attribuire il cognome di uno di loro soltanto». È una illegittimità estesa anche alle norme sull’attribuzione del cognome al figlio nato nel matrimonio e al figlio adottato.
È noto che da anni la giurisprudenza costituzionale e sovranazionale ha inviato segnali e in via progressiva indicazioni sempre più stringenti in ordine alla necessità di aggiornare il meccanismo di trasmissione del cognome vigente nell’ordinamento italiano, uniformandolo con i principi costituzionali e con il parametro della Carta europea dei diritti dell’Uomo.
La Consulta ha identificato due parametri rispetto ai quali il modello di trasmissione del cognome vigente risulta incoerente con i principi costituzionali: 1) identità e 2) uguaglianza.
1. Identità: Il nome è parte integrante dell’identità personale. Nome e cognome ci distinguono e ci identificano nella società già dai primissimi giorni di vita, ben prima che le caratteristiche fisiche e caratteriali ci rendano riconoscibili come individui. In particolare, il cognome oltre alla valenza squisitamente pratica assume valore giuridico e il meccanismo di assegnazione del “nome di famiglia”, che tradizionalmente prevede l’imposizione della linea paterna non è casuale bensì frutto di una particolare visione della società. Il legame tra nome, identità e dignità personale trova specifico riconoscimento nel testo costituzionale agli articoli 2 e 22, laddove, rispettivamente, si garantiscono i diritti dell’essere umano come singolo e nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e si afferma il divieto di privare il singolo, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza e – appunto – del nome. Dalla lettura di queste norme pare chiaro il valore assunto dal nome nella dimensione individuale dei diritti intangibili e si evince la libertà, per ognuno, di rivendicarlo e conservarlo in quanto elemento integrante la propria sfera identitaria. Precludere tale prerogativa alle donne, oltre a rappresentare una lesione dell’art. 2, viola il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, determinando, se non supportata da esigenze prioritarie per l’ordinamento, una discriminazione irragionevole. A lungo nel nostro ordinamento il diritto al nome è stato considerato in un’ottica prettamente pubblicistica, in quanto mezzo utile ai fini della salvaguardia dell’ordine pubblico, funzionale alla individuazione dei componenti della comunità. Il valore del nome rileva come veicolo identitario e non può essere ridotto a mero strumento di ordine amministrativo.
2. Eguaglianza: in Italia come altrove l’apposizione del cognome paterno riflette una struttura sociale storicamente patriarcale in cui il ruolo pubblico era riservato agli uomini “capifamiglia” e le donne passavano dalla tutela del padre a quella dello sposo del quale assumevano, a dimostrazione della “cessione” avvenuta anche il cognome. Formalmente questo tipo di visione è stato spazzato via dalla Costituzione Repubblicana che sancisce il principio di uguaglianza e professa – tra l’altro – la parità morale e giuridica dei coniugi (art. 29 Cost.). Eppure, a più di settanta anni dall’entrata in vigore della nostra Carta fondamentale, resistono retaggi anacronistici e incoerenti rispetto alla impostazione costituzionale; il modello di trasmissione del cognome è uno di questi.
La Corte Costituzionale ha stabilito che il cognome del figlio «deve comporsi con i cognomi dei genitori», nell’ordine da loro deciso, fatta salva la possibilità che – di comune accordo – i genitori attribuiscano soltanto il cognome di uno dei due. Sarebbe infatti in contrasto con i principi costituzionali invocati impedire ai genitori di avvalersi, in un contesto divenuto paritario, dell’accordo per rendere un unico cognome segno identificativo della loro unione, capace di farsi interprete di interessi del figlio. Di conseguenza, l’accordo è imprescindibile per poter attribuire al figlio il cognome di uno soltanto dei genitori, nell’ordine concordato. Qualora vi sia un contrasto sull’ordine di attribuzione dei cognomi, sarà necessario l’intervento del giudice, che l’ordinamento giuridico già prevede per risolvere i contrasti su scelte che riguardano i figli. Questo in attesa di altri criteri, forniti dal legislatore, al quale il giudice delle leggi fornisce comunque delle indicazioni.
I disegni di legge oggi in esame stabiliscono i tanto attesi criteri e sono a mio parere apprezzabili perché recepiscono, con alcune differenze significative, le istanze di modifica rispetto ai profili del rispetto della identità e del principio di uguaglianza. Le diverse opzioni proposte segnalano una propensione più o meno spiccata a valorizzare l’aspetto della identità, enfatizzando il valore della scelta volontaria rispetto al cognome da trasmettere (A.S. 2 Unterberger e A. S. 918 a prima firma Cucchi) o della eguaglianza, prevedendo l’automatica trasmissione di entrambi i cognomi (A.S 131 Maiorino, e A.S. 21 Malpezzi e altri)
Il nodo sta nella scelta di privilegiare l’elemento volontaristico ovvero di far prevalere il principio di uguaglianza e parità, a prescindere dalla volontà espressa dai genitori.
L’intervento della sentenza 131/22 ha segnato la via che prevede l’assegnazione di entrambi i cognomi (come previsto come prima opzione dai ddl Maiorino e Malpezzi ) nell’ordine concordato dai genitori. In assenza d’accordo vengono prospettate soluzioni diverse: il ddl Unterberger prevede l’assegnazione di entrambi i cognomi ma non precisa l’ordine; il ddl Maiorino contempla l’intervento del giudice e l’ascolto obbligatorio del figlio/a maggiore di 12 anni o anche di età inferiore se capace di discernimento e – nel caso in cui il contrasto permanga – l’estrazione a sorte tra i vari criteri possibili; i ddl a prima firma Malpezzi e il ddl Cucchi stabiliscono l’ordine alfabetico.
Un’altra opzione possibile valorizza il profilo della volontà ed è quella privilegiata dai ddl Unterberger e Cucchi lasciano ai genitori la scelta di trasmettere in alternativa il cognome materno o quello paterno ovvero entrambi, anche qui secondo ordine concordato (ddl Unterberger e Cucchi).
A mio parere l’espressione della volontà individuale, quando non viziata da elementi di contesto, è da considerare come manifestazione fisiologica di una situazione paritaria. Si pensi, per esempio, al caso in cui vi sia da parte dei genitori la volontà concorde di imporre il solo cognome materno invece del paterno. Tale possibilità era preclusa fino alla sentenza della Corte n. 131/22 – perché non rientrava nell’alveo della 286/2016, che consentiva solo di affiancare il cognome della madre a quello del padre ed è la situazione oggetto della causa Cusan e Fazzo che ha portato alla condanna dell’Italia da parte della Corte Edu e della causa intentata presso il tribunale di Bolzano (Tribunale ordinario di Bolzano, seconda sezione civile, ordinanza depositata il 17 ottobre 2019 e iscritta al n. 78 nel registro delle ordinanze del 2020) che ha spinto nel gennaio 2021 la Corte a richiamare presso di sé l’intera questione del cognome.
Trovo dunque apprezzabili i disegni di legge che valorizzano l’aspetto volontaristico, prevedendo la scelta alternativa di assegnare il cognome materno, paterno o entrambi secondo la volontà concorde dei coniugi.
Tuttavia, non si può trascurare che ci sono degli elementi tradizionali e sociali che si prestano a influenzare l’esercizio pienamente libero della volontà. Non si può fare a meno di considerare che una impostazione incentrata esclusivamente sulla discrezionalità dei genitori, pur garantendo in apparenza la parità tra le parti, di fatto si traduca in una nuova prevalenza della componente maschile per ragioni ancorate alla tradizione ma anche a delicate dinamiche di tipo sociale ed economico che portano ancora la donna a essere, in molti casi, parte debole nella coppia. In sostanza, ancorando la trasmissione del cognome alla mera volontà concorde dei genitori si otterrebbe senz’altro un riconoscimento formale della parità ma nel concreto si potrebbe verificare un perpetuarsi del regime esistente, con l’assegnazione del cognome paterno salvo ipotesi residuali in cui si opti per quello della madre o per il doppio cognome. Questo non necessariamente può essere considerato un limite dal momento che la libertà di scelta è la parità verrebbero in ogni caso garantite ma è un elemento che occorre tenere in considerazione soprattutto con riguardo agli obiettivi che si intendono perseguire con la nuova normativa.
Criticità: le criticità emergono specialmente in caso di mancato accordo tra i genitori (ipotesi che potrebbe verificarsi spesso). Basti pensare, per esempio, solo alla possibilità non remota di un mutamento dei rapporti interni alla coppia tra un figlio e l’altro, che potrebbero fare venire meno l’accordo o mutarne le condizioni. È dunque particolarmente importante disciplinare con cura il criterio e le procedure da seguire in caso di mancato accordo. Limiterei l’intervento del giudice, non precludendolo ma contemplandolo come extrema ratio, privilegiando criteri alternativi come l’ordine alfabetico o il sorteggio.
I ddl sono concordi nella scelta razionale e condivisibile di attribuire a tutti i figli lo stesso cognome e di trasmettere alle generazioni successive un solo cognome a scelta.
Da ultimo – ma non ultimo – sempre nell’ottica del rispetto dei principi di identità e uguaglianza è fondamentale intervenire sulla disciplina del cognome del coniuge e, in questo frangente, sposo la scelta dei ddl Maiorino, Malpezzi e Cucchi in ordine alla conservazione del cognome originario dei coniugi o, come previsto dal ddl Maiorino, alla possibilità per ciascuno di aggiungere il cognome dell’altro, in una dimensione di bilateralità. Trovo invece contraddittoria rispetto al principio di uguaglianza la previsione del ddl Unterberger di prevedere solo per la moglie la possibilità di aggiungere il cognome del marito. Interessante, nello stesso disegno di legge, la proposta di introduzione di un “cognome di famiglia” secondo il modello tedesco.
*Professoressa ordinaria di Diritto pubblico comparato – Università degli studi di Sassari.
L’Audizione si è svolta il 22 febbraio 2024.
Sul medesimo argomento vedi anche il contributo di Antonella Anselmo.