RAFFAELE BIFULCO*
1. La sentenza del 9 aprile 2024 della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo, nel caso Verein KlimaSeniorinnen Schweiz and others v Switzerland [1], rappresenta un altro centrale tassello in quella che può essere oramai già considerata come una storica sequenza di sentenze che sta portando la questione climatica al centro delle agende politiche nazionali e internazionali. Per rimanere al continente europeo, basti menzionare il seguente trittico giurisprudenziale: la Corte di cassazione olandese con il celebre caso Urgenda [2], il Tribunale amministrativo di Parigi con la vicenda Affaire du Siècle [3] e infine la sentenza del Tribunale costituzionale federale tedesco (conosciuta anche come Neubauer) [4]. Sono sentenze che, con forme, tecniche, sensibilità differenti, additano ai propri decisori politici l’urgenza della questione climatica.
Ad esse si aggiunge ora la sentenza in commento, la prima giunta dal livello europeo. Una sentenza che, segnando la strada per la lotta al cambiamento climatico, stabilisce che l’inadeguatezza dell’azione statale nei confronti del cambiamento climatico può tradursi nella violazione di diritti umani. Il 9 aprile 2024 la Corte, insieme alla sentenza in esame, ha adottato anche altre due sentenze di rigetto per motivi procedurali sullo stesso argomento (Duarte e Carême)[5].
In KlimaSeniorinnen, un’associazione che rappresenta più di 2000 donne svizzere ha sostenuto e dimostrato come l’incapacità delle autorità svizzere nell’affrontare concretamente il cambiamento climatico abbia leso la loro salute nei giorni in cui le temperature hanno raggiunto livelli eccezionalmente alti. La Corte, all’unanimità, ha ritenuto violati i diritti loro garantiti dall’art. 6 e, con la maggioranza di 16 a 1, ha ritenuto sussistente anche la violazione del diritto di cui all’art. 8 della Convenzione [6].
La decisione continua ad essere oggetto di numerosissime annotazione e segnalazioni sia per il contenuto riguardante i temi del contenzioso climatico sia per i molti profili riguardanti questioni procedurali e sostanziali attinenti più strettamente al diritto convenzionale (la riconcettualizzazione dello status di vittima, la legittimazione al processo, il ruolo delle associazioni, l’interpretazione evolutiva e così via). In questa sede, anche in ragione dello spazio limitato, mi concentrerò su alcuni snodi e passaggi argomentativi che mi sono apparsi particolarmente significativi in materia di cambiamento climatico, rinunciando a qualsiasi sforzo di ricostruzione critica delle innumerevoli linee di sviluppo offerte da una sentenza che si estende per oltre 250 pagine.
2. Strenua e tenace è stata la difesa dello Stato svizzero, parte in causa, ma anche di altri Stati intervenuti nel giudizio, del principio di separazione dei poteri. I profili problematici coinvolti nel caso erano molteplici e di grande spessore giuridico ma il punto di discrimine è stato avvertito proprio nel principio di separazione dei poteri. Come conciliare l’autonomia del processo decisionale nazionale, peraltro all’interno di uno Stato saldamente ancorato al principio democratico come la Svizzera, con una sentenza proveniente da un giudice internazionale, nel caso in cui quest’ultima dovesse mettere in discussione le determinazioni nazionali assunte democraticamente? È chiaro che in questo caso a ‘saltare’ pare proprio il principio di separazione dei poteri. Eviti dunque la Corte europea dei diritti dell’uomo -questo l’argomento dello Stato svizzero, condiviso da altri Stati- di assumere una decisione che porrebbe in discussione la saldezza del principio di sussidiarietà che da sempre governa i rapporti tra Stati e Corte di Strasburgo.
Nella questione pesava anche la peculiarità della forma di governo svizzera, caratterizzata, per un verso, dal forte rilievo delle forme di democrazia diretta, in particolare nella versione referendaria e, per l’altro, da un ruolo più limitato del potere giudiziario. Si aggiunga che con il referendum del 13 giugno del 2021 il corpo elettorale aveva manifestato un netto disfavore nei confronti della legge sul clima approvata a settembre 2020 (sul punto i parr. 92 e 94 della sentenza). Si trattava di una legge che prevedeva impegni contro il riscaldamento climatico più intensi di quelli che sono stati poi oggetto di giudizio dinanzi alla Corte europea.
Il Giudice di Strasburgo ha assunto una prospettiva diversa, ben sintetizzato nel par. 412 della decisione: «L’intervento del giudice, anche di questa Corte, non può rimpiazzare o sostituire l’azione che compete al potere legislativo e al potere esecutivo. In ogni caso, la democrazia non può essere ridotta alla volontà della maggioranza dell’elettorato e dei rappresentanti eletti, in spregio del principio del rule of law» (par. 412). In posizione sicuramente complementare rispetto al processo democratico, il compito delle corti nazionali e di quella di Strasburgo è assicurare il necessario rispetto della legge (legal requirements).
La Corte, guardando alla decisione nel suo complesso, è rimasta fedele a tale assunto. Pur condannando la Confederazione elvetica, essa si è guardata bene dall’imporre misure concrete da adottare o obiettivi da raggiungere, rimettendo le decisioni in materia di cambiamento climatico alle opportune sedi politiche nazionali (parr. 653 e 657).
3. L’emergenza climatica, più volte richiamata all’interno della sentenza, è un altro profilo degno della massima valorizzazione. Nello svolgimento del processo l’emergenza climatica prende l’aspetto del fatto notorio, rimanendo incontestato e anzi riconosciuto e posto come base delle difese delle parti contrapposte (al par. 337 per la Svizzera) e degli Stati intervenienti (al par. 367 per l’Irlanda, ai parr. 373-5 per Portogallo, Romania e Slovacchia). Anche la Corte ritiene acquisito questo dato, appoggiandosi sull’autorevolezza dei dati elaborati dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC; par. 433).
La specificità del cambiamento climatico contribuisce all’emergenza. La molteplicità delle fonti di emissioni di CO2, la difficoltà di individuare una soglia di tossicità, l’irrilevanza dei confini territoriali, la difficoltà di previsione degli effetti nel tempo e nello spazio, come anche la difficoltà di indicare una singola misura come decisiva per fronteggiare l’emergenza, sono tutti elementi che contribuiscono a dare alla Corte europea la consapevolezza di trovarsi di fronte a un problema del tutto nuovo rispetto ai precedenti casi di diritto ambientale e di dover sviluppare un nuovo approccio (parr. 416-422).
Il carattere emergenziale del cambiamento climatico ha almeno due punti di caduta rilevanti sul piano costituzionale. In primo luogo, il Giudice europeo parte dall’assunto che non possa essere messo in discussione il ‘se’ agire ma, al più, il ‘come’ agire. Ciò, come si vedrà, finisce per restringere il margine di azione degli Stati. L’omissione o l’azione carente e insufficiente degli Stati sono così già indici di valutazione negativi. E la valutazione negativa discende dal grave rischio conseguente al raggiungimento dei c.d. tipping points, dei punti di non ritorno, che renderebbero irreversibili gli effetti negativi del cambiamento climatico.
In secondo luogo, il carattere emergenziale e la dimensione intergenerazionale del peso da sopportare per fronteggiare l’emergenza rendono poco credibili e quindi illegittime decisioni e programmazioni nazionali che mettono in campo strategie e politiche tendenti a posticipare il raggiungimento degli obiettivi di abbassamento delle emissioni consolidati a livello internazionale. La tecnica di ‘spalmare’ gli effetti delle mancate o carenti decisioni comporta un carico per le generazioni future che si traduce in una lesione anticipata dei loro diritti costituzionali o umani (è questa una eco della richiamata decisione Neubauer).
4. E si viene così al punto di maggior impatto per il rapporto tra cambiamento climatico e diritto. Partendo dall’urgenza della risposta che gli Stati devono saper offrire in termini di mitigazione e adattamento, la Corte europea formula un’affermazione sicuramente impegnativa: essa trova giustificato ritenere che alla tutela dal cambiamento climatico bisognerà assegnare un peso considerevole (considerable weight) nella ponderazione di ogni altro interesse concorrente (par. 542, enfasi e traduzione sono di chi scrive).
Certo, peso considerevole non è peso preponderante, ma la statuizione non può rimanere inosservata. Essa crea o annuncia la creazione di una piramide o gerarchia di interessi, che sarà difficile scalfire in futuro, per cui la lotta e la tutela contro il cambiamento climatico devono prevalere nel bilanciamento di interessi o comunque potranno arretrare solo di fronte a esigenze particolarmente motivate.
La statuizione ha immediate ricadute sull’azione degli Stati. Il Giudice di Strasburgo distingue infatti due diverse declinazioni del margine di apprezzamento degli Stati in materia di cambiamento climatico: da un lato, l’impegno dello Stato a combattere il cambiamento climatico i suoi effetti negativi, nonché l’impostazione (setting) degli scopi e degli obiettivi; dall’altro, la scelta dei mezzi per raggiungere gli obiettivi prescelti. Ora, con riguardo al primo aspetto, il margine di apprezzamento degli Stati, secondo la Corte, è ridotto poiché esiste un diffuso accordo sulla necessità di combattere il cambiamento climatico attraverso la riduzione delle emissioni di anidride carbonica secondo quanto concordato tra le stesse Parti contraenti; il margine si amplia nuovamente, invece, nel caso della scelta dei mezzi, incluse le scelte operative e le politiche più adatte al fine di conseguire gli obiettivi fissati a livello internazionale.
La Corte europea diventa così, indirettamente, il guardiano del rispetto degli obblighi assunti dagli Stati in materia di cambiamento climatico. Tutti gli Stati del Consiglio d’Europa sono avvertiti.
Una nota conclusiva sul carbon budget. La Corte, dopo aver rilevato le carenze regolative dello Stato svizzero, non manca di osservare che una effettiva cornice regolatoria riguardante il cambiamento climatico difficilmente può essere conseguita in assenza di un carbon budget o, comunque, di limitazioni nazionali delle emissioni di CO2. Pare un richiamo a tutti quegli Stati, tra cui l’Italia, che ne sono ancora privi.
[1] Verein KlimaSeniorinnen Schweiz v Switzerland, causa n. 53600/20 (9 aprile 2024).
[2] Supreme Court of the Netherlands, Civil Division, sent.19/00135, del 20 dicembre 2019.
[3] Tribunal administratif de Paris, sentenza del 3 febbraio 2021.
[4] Bundesverfassungsgericht, sentenza del 24 marzo 2021.
[5] Duarte Agostinho v Portugal Application, causa n. 39371/20 (9 aprile 2024) e Carême v France, causa n. 7189/21 (9 aprile 2024).
[6] Per la prima volta, la Corte interpreta l’art. 8 «as encompassing a right for individuals to effective protection by the State authorities from serious adverse effects of climate change on their life, health, well-being and quality of life» (§ 519).
* Professore ordinario di diritto costituzionale – LUISS Guido Carli, Roma.