Quando si discute di limiti alla revisione costituzionale, si è soliti riferirsi al limite esplicito
di cui all’art. 139 Cost. e all’inviolabilità dei “principi supremi” dell’ordinamento sancita
dalla giurisprudenza costituzionale. Superata e assolutamente minoritaria è l’idea che si
possano altresì individuare dei limiti per materia, ossia che esistano solo alcune “materie
intrinsecamente costituzionali” che possano formare oggetto di revisione costituzionale.
Ciò non di meno, la recente approvazione di alcune puntuali modifiche della Carta
costituzionale, volte a costituzionalizzare “nuove” materie (si veda da ultimo la l. cost.
1/2023 che ha inserito lo sport in Costituzione) sollecita alcuni interrogativi. Soprattutto
ove si consideri come la costituzionalizzazione di una nuova materia imponga ai pubblici
poteri il perseguimento di nuovi obiettivi, che inevitabilmente possono pregiudicare o
sacrificare il perseguimento di altri (magari non espressamente costituzionalizzati, ma
comunque implicitamente desumibili dalla stessa Costituzione).
- La Costituzione è fonte idonea a contenere disposizioni di qualsiasi contenuto,
purché non contrastante con l’art. 139 Cost. e i “principi supremi”? Oppure
sostenere ciò significa degradare la Costituzione a fonte normativa pari alla legge
ordinaria? - La possibilità per qualsiasi materia di essere “costituzionalizzata” può costituire un
eccessivo limite per la discrezionalità del legislatore (e un rischio per la tutela dei
diritti inerenti a materie non “costituzionalizzate”)?
Più che alle materie, vecchie o nuove che siano, farei riferimento agli interessi o ai beni della vita meritevoli di protezione costituzionale; che, poi, questi facciano capo ad ambiti materiali già normati ovvero a campi in tutto inesplorati è questione che lascerei per il momento impregiudicata. La costituzionalizzazione, a mia opinione, si giustifica (e, anzi, s’impone) laddove si sia in presenza, quanto alla parte sostantiva della Carta, di bisogni elementari della persona umana diffusamente ed intensamente avvertiti come appunto meritevoli di tutela (che, poi, non si disponga di strumenti efficaci per sanzionare le omissioni del legislatore, costituzionale e non, è altra questione ancora, di cui non ci si può però ora fare carico). Un indice sufficientemente attendibile della esistenza e consistenza dei bisogni in parola è dato da consuetudini culturali – come a me piace chiamarle – di riconoscimento dei bisogni stessi profondamente radicate nel corpo sociale. Compito del diritto è di darvi voce, a mezzo delle tecniche di “razionalizzazione” adeguate allo scopo (a parer mio, in prima battuta con fonte di rango costituzionale; di fatto, a motivo delle acclarate carenze dalla stessa esibite, con altri strumenti, principalmente – per ciò che attiene al riconoscimento dei nuovi diritti – per mano dei giudici). Quanto alla parte organizzativa, è giocoforza ricorrere a discipline positive apprestate avvalendosi di vari strumenti di normazione (tra i quali, oltre agli atti costituzionali, le leggi comuni, i regolamenti parlamentari, ecc.). Col tempo, la estensione del campo costituzionale si va facendo sempre più vistosa, a motivo del fatto che, specie per effetto dello sviluppo scientifico e tecnologico, emergono a getto continuo dal corpo sociale interessi o beni della vita sempre nuovi ovvero si avverte il bisogno del rinnovamento della disciplina dei vecchi. E’ pur vero che talora l’obiettivo è centrato (o si ritiene che lo sia…) attingendo alle formidabili risorse dell’interpretazione e facendo leva sulla parimenti formidabile apertura e duttilità strutturale degli enunciati della Carta, che però soccorre solo fino ad un certo punto, superato il quale l’elastico costituzionale fatalmente si spezza.