G7 e parità di genere

CARLA GULOTTA*

La Dichiarazione resa a Matera, nell’ambito del Gruppo dei 7 (di seguito G7) a presidenza italiana, dai Ministri per la parità di genere e dalla Commissaria europea per l’uguaglianza, fornisce l’occasione per una breve riflessione sul ruolo giocato dai vertici internazionali per la promozione della parità di genere a livello globale e sulla loro efficacia.

La violazione dei diritti delle donne e la parità di genere sono entrate a far parte delle tematiche di interesse globale trattate nel corso dei vertici internazionali del G7/8 in modo inizialmente episodico e limitato alla situazione dei Paesi in via di sviluppo. Dal 2001 in poi, peraltro, il riferimento alla situazione femminile è divenuto costante e lo sguardo più ampio, focalizzandosi principalmente sulla lotta contro la violenza sulle donne nei conflitti armati e la violazione dei diritti fondamentali delle donne, mentre il tema della parità di genere viene affrontato di volta in volta sotto profili differenti, riconducibili ai tre ambiti dell’educazione, della salute e del lavoro. 

La diversità dell’approccio è essenzialmente imputabile alla rotazione annuale della presidenza del G7 tra gli Stati che ne fanno parte e che imprimono una forte impronta sull’andamento del vertice, decidendone l’agenda. A questa discontinuità è stata talora ricondotta la limitata efficacia delle politiche di intervento proposte a livello di G7 con riguardo alle questioni di disuguaglianza di genere, cui si aggiunge la scarsa collaborazione con gli altri soggetti che – sul piano internazionale – sono attivi sul tema, primi tra tutti le Nazioni Unite.

La Dichiarazione di Matera si articola in una parte introduttiva, volta a ricostruire il quadro globale in cui versano attualmente i diritti delle donne e in due sezioni dedicate agli obiettivi ritenuti prioritari, sui quali si concentrano gli specifici impegni di azione, vale a dire: a) la cessazione della violenza contro le donne e il rafforzamento del sostegno alle vittime; b) la garanzia dell’empowerment delle donne e delle ragazze, ma anche delle nazioni, attraverso uno sforzo collettivo ritenuto indispensabile per l’avanzamento delle pari opportunità.

Un merito del documento è quello di richiamare, nella sezione iniziale, la rete dei più rilevanti  quadri d’intervento (la Piattaforma d’azione di Pechino, l’Agenda Donne, Pace e Sicurezza e l’Obiettivo di Sviluppo 5 dell’Agenda 2030 delle nazioni Unite) e dei principali attori internazionali impegnati contro la violenza e la discriminazione di genere e per la promozione del ruolo della donna nella società (OCSE, OIL, UN Women, Women 7, Business 7, Youth 7, Pride 7), dichiarando l’apprezzamento e  l’allineamento del G7 rispetto alle relative azioni. 

Sempre nella sezione introduttiva, merita di essere evidenziato il linguaggio assertivo con cui viene espressa forte preoccupazione “per l’arretramento dei diritti delle donne, delle ragazze e delle persone LGBTQIA+” e per l’impatto sproporzionato dei conflitti sul rispetto dei diritti umani di donne e ragazze. A questo proposito particolare rilievo va attribuito alla qualificazione di tali violazioni quali atrocità di massa idonee a integrare le fattispecie di crimini di guerra o di crimini contro l’umanità. 

La Dichiarazione delinea chiaramente il rapporto tra cessazione della violenza contro le donne e realizzazione del loro empowerment in termini di necessaria consequenzialità: la tutela dei diritti fondamentali delle donne e la cessazione delle molteplici forme che la violenza contro di esse assume nei conflitti armati e nelle dimensioni pubbliche e private della vita sociale vengono prospettate come necessari presupposti per potere raggiungere gli obiettivi logicamente successivi delle pari opportunità.

Alla cessazione della violenza contro le donne è, dunque, dedicata la seconda sezione del documento. Partendo dal riconoscimento delle profonde radici storiche dello squilibrio di potere tra donne e uomini, perpetuatosi nelle società contemporanee anche grazie a dannosi stereotipi di genere, il documento afferma la necessità di adottare “un approccio multidimensionale alla prevenzione, al supporto, alla persecuzione e alle politiche coordinate” (par. 26). L’obiettivo, in altri termini, è quello di determinare un cambiamento culturale

Le azioni prefigurate a questo effetto riguardano innanzitutto l’educazione scolastica dalla primissima infanzia e la trattazione del tema della violenza contro le donne da parte dei media, che deve fondarsi su dati affidabili, comparabili e disaggregati per sesso e adottare un approccio incentrato sulle vittime. Queste ultime devono essere aiutate a “spezzare le catene della dipendenza” che spesso è di natura economica.

Particolarmente innovativo per i contenuti e l’approccio è il paragrafo 32 della Dichiarazione, dedicato alle azioni che i Ministri competenti, insieme alla Commissaria europea per l’uguaglianza, si impegnano a prendere “per prevenire e rispondere efficacemente alla violenza facilitata dalla tecnologia e alla disinformazione di genere”. Lo strumento indicato per realizzare l’obiettivo è quello dell’adozione di standard (e quindi di strumenti non vincolanti) per gli operatori economici dei settori tecnologici – che li guidino nell’integrazione dell’uguaglianza di genere “nella progettazione, nella produzione e nel monitoraggio degli strumenti, compresi quelli dell’intelligenza artificiale”. Il modello di riferimento è quello cosiddetto dell’“ethics by design”, espressamente indicato dall’UNESCO ai suoi Stati membri per impedire che i sistemi di intelligenza artificiale contribuiscano a diffondere stereotipi sulla disuguaglianza di genere (si veda il par. 66 della Raccomandazione UNESCO del 2021 sull’etica dell’intelligenza artificiale).

Va segnalata anche l’apertura a collaborare con programmi internazionali promossi da organizzazioni quali l’UNFPA e l’UNICEF e le organizzazioni della società civile per combattere il perpetuarsi delle pratiche di mutilazione genitale e dei matrimoni infantili e per prevenire la tratta di esseri umani che spesso interessa donne, ragazze e persone LGBTQIA+. 

Passando a esaminare la sezione conclusiva dedicata all’empowerment femminile, va subito evidenziata la scelta di affiancare a questo concetto quello di un empowerment di natura geopolitica, rivolto ai Paesi africani, ai Paesi in via di sviluppo ed emergenti, che ne costituirebbe il necessario complemento. Il riferimento ai partenariati sulle pari opportunità rispecchia l’orientamento recentemente emerso nella politica commerciale comune dell’Unione europea. Il trattato di libero scambio con la Nuova Zelanda e l’Accordo di partenariato economico con il Kenya presentano per la prima volta un articolo dedicato alle questioni di genere, mentre l’accordo con il Cile (EU-Chile Advanced Framework Agreement) include un intero capitolo su commercio e uguaglianza di genere (per tutti e tre i trattati i negoziati si sono chiusi nel dicembre 2023). Recentemente il Parlamento europeo (PE), ricordando che la disuguaglianza di genere costa all’Africa subsahariana il 6% del PIL annuale, ha sollecitato la Commissione a dare priorità alle politiche di genere nell’applicazione dell’Accordo di partenariato economico con i Paesi della regione (cfr. il par. 38 della risoluzione del PE del 29 febbraio 2024, P9_TA(2024)0121).

Seguendo un approccio più tradizionale, il tema dell’empowerment viene quindi trattato con riferimento all’ambito dell’educazione e del lavoro. Sotto il primo profilo la Dichiarazione prevede l’impegno volto a potenziare la partecipazione delle ragazze alle “carriere STEM” e quindi nei settori delle scienze, tecnologia, ingegneria e matematica nonchè, anche in collaborazione con i Paesi in via di sviluppo ed emergenti, finalizzato a promuovere il superamento del divario digitale tra donne e uomini.

All’ambito educativo può ricondursi anche l’attenzione per il mondo dello sport femminile. A questo proposito l’impegno del G7 risente evidentemente delle polemiche insorte, solo qualche mese prima della Dichiarazione di Matera, riguardo l’incontro di pugilato tra le atlete Imane Khelif e  Angela Carini. Oltre ad assicurare parità nell’accesso alle discipline sportive, i Ministri riconoscono espressamente l’importanza di competizioni “basate su pertinenti standard scientifici e comprovati da dati, che siano condivisi e trasparenti, e regolati in maniera indipendente dalle istituzioni sportive, al fine di evitare discriminazioni e avanzare le pari opportunità” (cfr. il par. 41 della Dichiarazione).

Per quanto attiene alla dimensione lavorativa della disuguaglianza di genere, dopo aver richiamato il classico ventaglio di misure ritenute idonee a contrastarla (misure di welfare aziendale che riequilibrino tempi di vita familiare e lavoro, azioni positive, sistemi e standard di certificazione), la Dichiarazione si sofferma in particolare sulla  necessità di “promuovere l’equa condivisione delle responsabilità di cura” e di “esplorare le  opportunità per aumentare gli investimenti in servizi di cura e protezione sociale accessibili”, anche al fine di assicurare “il miglioramento delle condizioni di lavoro nel settore della cura” (si vedano i parr. 47 e 48).  Di fronte a una società che invecchia rapidamente, nel momento in cui la cura dei figli diventa per la madre meno onerosa, subentra sempre più spesso e per periodi sempre più lunghi la necessità di prestare assistenza a genitori e parenti anziani: di qui la necessità – oltre a una più equa ripartizione di tali responsabilità all’interno della famiglia – di rendere più attrattivo ed efficiente il settore economico della cura retribuita. La sfida, che il G7 intende condurre sulla base di un proprio specifico Piano d’azione e del Quadro delle 5 R dell’OIL per un lavoro assistenziale dignitoso, è particolarmente ardua per l’Italia, considerato che a +fronte di un divario medio di un’ora e 52 tra il tempo dedicato ai lavori domestici e di cura non pagati da uomini e donne nei Paesi del G7, nel nostro Paese il divario raggiunge quasi le tre ore (due ore e 55 minuti: cfr. l’indicatore 5° della G7 Dashboard on Gender Gaps 2024 – Italy). 

La parte finale della Dichiarazione contiene un indispensabile riferimento alle risorse necessarie a sostenere economicamente le azioni e le politiche delineate: a questo proposito viene dichiarata l’intenzione di partecipare a progetti con finanziatori privati e con altre organizzazioni quali la Banca Mondiale e le Nazioni Unite, ma viene soprattutto richiamato l’impegno, formulato dai Leader nel Comunicato rilasciato a giugno 2024 nel corso del Summit di Borgo Egnazia, di puntare a sostenere entro il 2035 l’entrata di 200 milioni di donne in più nella forza lavoro (parr. 50 e 51). Lo stesso Comunicato contiene altresì l’impegno a mobilizzare in tre anni, insieme alle istituzioni finanziarie internazionali, 20 miliardi di dollari per promuovere l’empowerment femminile. 

La disponibilità politica di destinare risorse ingenti al superamento della disuguaglianza di genere a livello globale è certamente un elemento fondamentale ai fini della valutazione della possibile efficacia degli impegni presi nel G7. 

A questo proposito va evidenziato come la Dichiarazione di Matera si concentri solo due degli impegni assunti in tema di disuguaglianza di genere dalla politica nel Comunicato dei Leader che l’ha preceduta e che rimane il documento centrale del vertice. Pare significativo, in particolare, che resti del tutto assente dalla Dichiarazione il tema della salute delle donne e in particolare della salute sessuale e riproduttiva, oggetto invece di uno specifico impegno da parte dei Leader che è stato comunque fortemente criticato per l’esclusione di ogni riferimento all’accesso alle pratiche abortive, espressamente richiamate, invece, nel Comunicato finale del vertice di Hiroshima del 2023 (si veda: GADN, Response to the 2024 G7Leaders’ Communique from the Gender and Development Network, 10 giugno 2024, reperibile sul web).

Volendo esprimere qualche considerazione conclusiva sull’efficacia delle politiche a promozione dell’uguaglianza di genere formulate dal G7 italiano di quest’anno, si osserva come il meccanismo di monitoraggio e verifica degli impegni presi in sede di vertice venutosi gradualmente a costruire nel tempo offre qualche motivo di ottimismo. 

Dal 2018 è attivo, a supporto dei vertici per le politiche di genere, il Gender Equality Advisory Council (GEAC). Quest’ultimo, che ha reso pubblica una prima serie di raccomandazioni a giugno 2024, è stato quest’anno “rafforzato” nella composizione con l’aggiunta, accanto agli esperti segnalati dalla Presidenza in corso con un mandato annuale, di esperti segnalati dai Paesi del G7 in consultazione con la Presidenza G7 entrante del Canada, destinati a rimanere in carica per due anni. La nuova composizione del comitato potrebbe assicurare, per il futuro, una maggiore continuità alle politiche, ovviando all’esiguità di una prospettiva temporale limitata ad un solo anno.

L’attuazione degli impegni presi per affrontare il divario di genere è inoltre incentivata dal recente “monitoring and accountability mechanism” (MAM) comprensivo della G7 Dashboard on Gender Gaps e del Gender Equality Implementation Report.  Il primo, la cui redazione è affidata con cadenza annuale all’OCSE, riporta i dati riferiti a una serie di indicatori sull’avvicinamento agli obiettivi in materia di pari opportunità per ciascuno dei Paesi G7 e per l’Unione europea ed è stato pubblicato per la prima volta in occasione del vertice di Elmau del 2022. Il Gender Equality Implementation Report ha visto invece la luce nel dicembre 2023 e con cadenza triennale monitorerà lo stato di adempimento da parte dei membri del G7 degli impegni presi per superare i divari di genere, riportando misure adottate e best practices

Nel complesso, il nuovo meccanismo applicativo contribuirà a superare la scarsità e l’opacità dei dati disponibilisull’effettivo stato di attuazione degli impegni assunti (per il periodo anteriore al 2017 – anno da cui parte l’analisi del primo rapporto – è disponibile solo lo studio del Gruppo di ricerca del G7 a firma Julia Kulik,  Achieving Gender Equality through G7 and G20 Governance, reperibile sul web e a cui si rinvia): si tratta di un elemento importante che espone l’autorevolezza del G7 al vaglio della società civile internazionale, che d’ora in poi disporrà degli elementi per valutare la serietà degli impegni assunti dal massimi vertici politici dei Paesi economicamente più potenti del mondo occidentale in tema di superamento del divario di genere.  

*Professoressa Associata di Diritto Internazionale, Università di Milano-Bicocca

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