La “separazione delle carriere”: una soluzione di dubbia opportunità.

LAURA MONTANARI*

Premessa

Il disegno di legge di revisione costituzionale presentato dal Governo alla Camera dei deputati il 13 giugno scorso, recante “Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare” – , si propone di modificare diverse disposizioni del Titolo IV della Parte Seconda della Costituzione al fine di dare – come specificato nell’analisi tecnico-normativa di accompagnamento – «compiuta attuazione ad uno dei punti programmatici del Governo, che ha ad oggetto la riforma dell’assetto ordinamentale della Magistratura»[1].

Il profilo principale dell’intervento concerne la realizzazione della “separazione delle carriere” dei magistrati giudicanti e requirenti, che – riprendendo le parole del Ministro della giustizia Carlo Nordio – partendo «dal riconoscimento dei princìpi del giusto processo nel novellato articolo 111 della Costituzione, dall’evoluzione del sistema processuale penale italiano verso il modello accusatorio e da obiettivi di miglioramento della qualità della giurisdizione» opererebbe «in modo conforme alla struttura più coerente con le regole fondamentali del processo penale». Ciò nel rispetto della «compiuta assimilazione tra i magistrati del pubblico ministero e i giudici rispetto alle garanzie offerte dai princìpi di autonomia e indipendenza»[2]. Oltre a questo, la proposta contiene altri due importanti interventi. Il primo in materia disciplinare, con la creazione di una specifica Corte che eserciterebbe la funzione di controllo ora spettante al Consiglio superiore della magistratura. Il secondo relativo all’introduzione del sorteggio come modalità di scelta dei componenti laici e togati del Consiglio (o meglio, come si vedrà, dei Consigli).

Con riserva di riprendere questi ultimi aspetti nelle riflessioni finali, l’attenzione verrà posta soprattutto sulla questione principale della posizione del pubblico ministero. È questa, infatti, a suscitare i maggiori interrogativi.

La situazione attuale alla luce della “riforma Cartabia”

Per cercare di comprendere le ragioni della proposta di riforma costituzionale è opportuno ricostruire il quadro normativo attualmente in vigore. Come già ricordato, nel nostro ordinamento giudici e pubblici ministeri appartengono all’unico corpo della magistratura ordinaria. Inoltre, gli artt. 107, ult, comma, e 108 Cost., relativi all’indipendenza del pubblico ministero, sono stati interpretati nel senso che magistrati giudicanti e requirenti godono delle stesse garanzie. L’identità di garanzie risulta, in particolare, dal ruolo attribuito al Consiglio superiore della magistratura, quanto alle decisioni sul loro status e alla materia disciplinare[3].

Ciò, tuttavia, non significa che nel suo percorso professionale il magistrato possa passare “senza limiti” da una funzione all’altra, come talvolta sembra emergere dal dibattito pubblico.

Questo aspetto, disciplinato nella legge sull’ordinamento giudiziario, è stato oggetto nel tempo di diverse revisioni. Oggi il punto di riferimento è la soluzione introdotta con la cosiddetta “riforma Cartabia”[4]. Mantenendo invariate le modalità di accesso, la legge delega n. 71/2022 ha posto limiti molto stringenti alla possibilità di cambiare funzione. In particolare, ha previsto che il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa possa avvenire una sola volta, entro nove anni dalla prima assegnazione delle funzioni. Dopo tale periodo è consentito ancora per una sola volta, a condizione che a) l’interessato non abbia mai svolto funzioni giudicanti penali per il passaggio dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti; b) per il passaggio dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti civili o del lavoro, non si trovi, neanche in qualità di sostituto, a svolgere funzioni giudicanti penali o miste in un ufficio giudiziario diviso in sezioni.

In ogni caso, rimane il divieto di cambiare funzione all’interno dello stesso distretto e dei distretti della stessa Regione, nonché all’interno del distretto di Corte di appello competente, ai sensi dell’art. 11 del codice di procedura penale, ad accertare la responsabilità penale dei magistrati del distretto nel quale il magistrato interessato prestava servizio all’atto del mutamento di funzioni[5].

Come emerge chiaramente, dunque, a Costituzione invariata la “carriera” dei magistrati appare già oggi sostanzialmente separata. Del resto, la stessa Corte costituzionale nella decisione n. 37/2000, di ammissibilità del referendum abrogativo che concerneva il medesimo tema, aveva affermato che «La Costituzione, [infatti,] pur considerando la magistratura come un unico “ordine”, soggetto ai poteri dell’unico Consiglio superiore (art. 104), non contiene alcun principio che imponga o al contrario precluda la configurazione di una carriera unica o di carriere separate fra i magistrati addetti rispettivamente alle funzioni giudicanti e a quelle requirenti, o che impedisca di limitare o di condizionare più o meno severamente il passaggio dello stesso magistrato, nel corso della sua carriera, dalle une alle altre funzioni»[6].

La proposta di riforma

Rispetto a questo quadro, cosa propone la riforma costituzionale? Pur senza indicazioni quanto al concorso d’accesso, che tuttavia potrebbe essere oggetto di successivi interventi legislativi, la stessa rende definitiva la separazione tra magistrati requirenti e giudicanti sin dall’inizio del loro percorso professionale. La revisione costituzionale, infatti, riscrive l’art. 104 Cost. che, al primo comma, risulterebbe così formulato «La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente». Il primo comma dell’art. 102, inoltre, che rinvia alle norme sull’ordinamento giudiziario l’istituzione e la disciplina dei magistrati ordinari, verrebbe integrato con la precisazione che esse «disciplinano altresì le distinte carriere dei magistrati giudicanti e requirenti». La separazione dei percorsi professionali è accompagnata dalla previsione di due distinti Consigli superiori della magistratura, uno per la magistratura giudicante e uno per quella requirente. Entrambi i Consigli sono presieduti dal Presidente della Repubblica ed hanno una composizione mista, con la conferma dell’attuale proporzione di 2/3 e 1/3, anche se i membri togati saranno giudici o pubblici ministeri a seconda dell’organo, con la partecipazione di diritto rispettivamente del Primo presidente e del Procuratore generale presso la Corte di cassazione.

A questa prima scelta relativa alla conformazione dei Consigli, ne seguono, come accennato, altre due, anch’esse significative nel contesto dell’impostazione generale della riforma.

La prima riguarda l’introduzione del sorteggio come modalità di scelta dei componenti non di diritto, che verrebbe a sostituire l’elezione. Se nel caso dei membri laici questa soluzione è in parte temperata dal fatto che si svolge rispetto ad un «elenco di professori ordinari di università in materie giuridiche e di avvocati con almeno quindici anni di esercizio, che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante elezione», per i magistrati si prevede solo che il sorteggio avvenga «tra i magistrati giudicanti e i magistrati requirenti»; vi è poi il rinvio alla legge per la definizione del numero e delle modalità di svolgimento del sorteggio.

Nella relazione del Ministro ricordata in apertura questa scelta viene giustificata, da un lato, «dalla considerazione virtuosa che l’autogoverno, proprio per il suo rilievo costituzionale, deve costituire patrimonio fondamentale di ogni magistrato e appartenere ai suoi caratteri costitutivi», dall’altro per «assicurare il superamento di logiche legate alla competizione elettorale, che non hanno offerto buona prova di sé, indebolendo la stessa affidabilità dell’autogoverno all’interno e all’esterno della magistratura»[7]. Si tratta della tematica, ricorrente nel dibattito sull’indipendenza della magistratura, della “politicizzazione” del CSM, che viene collegata all’utilizzo dell’elezione per la scelta dei membri, che nel caso della componente togata avrebbe attribuito un ruolo eccessivo all’associazionismo dei magistrati e in particolare alle correnti che lo caratterizzano.

La seconda scelta incide invece sulle attribuzioni dei due nuovi Consigli superiori della magistratura, ai quali viene sottratta la funzione disciplinare, che viene assegnata all’Alta Corte disciplinare, un nuovo organo previsto dall’art. 105 Cost. completamente modificato. La composizione di tale organo prevede «quindici giudici, tre dei quali nominati dal Presidente della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno venti anni di esercizio e tre estratti a sorte da un elenco di soggetti in possesso dei medesimi requisiti, che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante elezione, nonché da sei magistrati giudicanti e tre requirenti, estratti a sorte tra gli appartenenti alle rispettive categorie con almeno venti anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità». Si conferma anche in questo caso, dunque, la modalità del sorteggio per la selezione dei componenti non nominati dal Presidente della Repubblica. L’eventuale impugnazione delle decisioni dell’Alta Corte disciplinare avverrà – con una soluzione che solleva perplessità – innanzi alla medesima Corte, in una composizione che escluda i membri che hanno concorso alla decisione. La disciplina di dettaglio è rinviata alla legge, che ai sensi del quinto comma dell’art. 105 è chiamata anche a «determina[re] gli illeciti disciplinari e le relative sanzioni».

Alcuni spunti di riflessione

Il quadro che si è sinteticamente ricostruito è il presupposto per riflettere sulla scelta di introdurre in Costituzione la “separazione delle carriere” tra magistratura giudicante e requirente[8]. Come ricordato nel Dossier del 9 luglio 2024 predisposto dall’Ufficio studi della Camera dei deputati, una distinzione interna alla magistratura – seppur in forme diverse – si trova anche in altri Paesi europei appartenenti alla tradizione di civil law. Vanno tuttavia comprese le peculiarità di ciascun sistema[9]. Possiamo prendere come esempio la Francia, dove in effetti, nonostante l’affermazione dell’appartenenza di giudici e pubblici ministeri all’unico corpo della magistratura[10], la loro posizione è differente, ma dove altresì, a ben guardare, si nota una tendenza opposta a quella voluta dal progetto di riforma italiano, e che va nel senso di un avvicinamento. In Francia, l’allargamento della competenza del Consiglio superiore della magistratura ai membri del parquet si è avuta solo con la riforma costituzionale del 1993, che introduce due distinte formazioni all’interno dell’organo a seconda dei magistrati destinatari dei provvedimenti; va ricordato che quelli relativi ai pubblici ministeri non hanno carattere vincolante, rimanendo l’ultima parola al Ministro della giustizia. Il sistema francese, come è noto, non prevede l’obbligatorietà dell’azione penale e l’art. 30, alinea 1 c.p.p. stabilisce che «Le ministre de la justice conduit la politique pénale déterminée par le Gouvernement. Il veille à la cohérence de son application sur le territoire de la République», e a tal fine può rivolgere istruzioni generali ai magistrati requirenti, ma non sui singoli dossiers. Anche se il Consiglio costituzionale ha riconosciuto che tali disposizioni «[…] assurent une conciliation équilibrée entre le principe d’indépendance de l’autorité judiciaire et les prérogatives que le Gouvernement tient de l’article 20 de la Constitution [et qu’elles] ne méconnaissent pas non plus la séparation des pouvoirs», la posizione del pubblico ministero continua ad essere oggetto di dibattito e di proposte di riforma, anche alla luce di alcune decisioni della Corte di Strasburgo che ne hanno contestato l’indipendenza dall’Esecutivo[11]. Un ultimo cenno in relazione alla struttura del Consiglio superiore della magistratura francese, per segnalare che quasi da subito le due formazioni al suo interno hanno iniziato ad organizzare riunioni congiunte, che sono state introdotte in Costituzione con la revisione del 2008. Non è possibile approfondire ulteriormente l’esperienza francese, ma si possono evidenziare due aspetti che limitano la pertinenza dell’uso dell’argomento di diritto comparato al fine di sostenere l’opportunità della riforma italiana: da un lato, le due formazioni del Consiglio superiore della magistratura francese corrispondono al diverso grado di indipendenza riconosciuto alla magistratura giudicante e requirente; dall’altro, il percorso di riforme sembra svilupparsi – seppur con difficoltà – in senso inverso rispetto a quello italiano.

Anche alla luce di questo esempio, nel momento in cui si conferma l’unicità del corpo della magistratura ordinaria – come ribadito dal Ministro Nordio nella presentazione del progetto di revisione costituzionale – risulta difficile comprendere le ragioni dell’introduzione in Costituzione della “separazione delle carriere”. È vero che tale ipotesi da tempo è presente nel dibattito politico: si è già fatto riferimento ai referendum del 2001 e del 2022, ma si possono citare anche il progetto di riforma costituzionale presentato nel 2011 dal Ministro della giustizia Angelino Alfano o ancora le modifiche relative al Consiglio superiore della magistratura proposte dalla Commissione bicamerale “D’Alema” alla fine degli anni ’90; proprio queste esperienze, tuttavia, rafforzano i dubbi sull’opportunità dell’attuale proposta[12].

Al riguardo vorrei aggiungere alcuni spunti di riflessione.

Il punto di partenza può essere il richiamo che spesso viene fatto al tema della parità delle armi fra le parti di fronte ad un giudice terzo. Cosa si intende? È vero che le riforme del processo penale hanno rafforzato i caratteri del rito accusatorio, ma nel rispetto del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Quest’ultimo incide sotto vari aspetti sulla posizione del pubblico ministero, che sovente viene definito come “parte imparziale”, espressione che secondo Gaetano Silvestri indica un istituto «non votato all’accusa a tutti i costi, ma tenuto, coerentemente, a svolgere accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini (art. 358 c.p.p.). In altre parole, spetta al pubblico ministero il compito di accertare in modo imparziale l’esistenza delle condizioni per l’esercizio dell’azione penale»[13].

Ciò mi pare importante soprattutto nell’attuale contesto storico, caratterizzato da quello che viene indicato come un “populismo penale”, dove si susseguono interventi legislativi che introducono nuovi reati, spesso in situazioni che richiederebbero risposte diverse e mettendo in discussione la garanzia di libertà fondamentali[14]. Mi permetto di richiamare la premessa di Stefano Sicardi in un contributo sulla “separazione delle carriere” pubblicato nel 2010: «è quantomai difficile, in tempi come questi, nei quali le possibili soluzioni dei problemi ordinamentali di cui si è appena accennato sono branditi con particolare veemenza per delegittimare l’operato di quei magistrati, requirenti o giudicanti, rei di non essersi comportati come gli imputati avrebbero voluto (ma l’avvertimento a futura memoria si estende a tutti), è quantomai difficile – dicevo – riuscire a mantenere uno sguardo il meno possibile polemicamente coinvolto, analizzando i rapporti tra potere governativo e giudiziario»[15]. Sono parole riferite a vicende diverse, che tuttavia mi sento di riprendere anche oggi, nel momento in cui vengono contestate le decisioni dei magistrati (e i magistrati) “non in linea” con le scelte politiche del Governo; in cui alla pena, possibilmente esemplare, è riconosciuta soprattutto una funzione generalpreventiva di deterrenza e il carcere viene visto un luogo estraneo alla società. In questo contesto, quale ruolo dovrebbe assumere il pubblico ministero? Mi è difficile pensare ad un corpo autonomo di magistrati requirenti, con garanzie di indipendenza analoghe a quelle dei giudici, che resista al rischio, a mio parere inevitabile, di essere attratto nell’orbita dell’Esecutivo o più in generale dei portatori dell’indirizzo politico di maggioranza. Una soluzione che metterebbe in discussione il modello e soprattutto i valori perseguiti dai Costituenti, che avevano ben chiare le possibili alternative[16].

La risposta, a mio parere, è nella riaffermazione, con una formula che oramai appare desueta, della condivisione della “cultura della giurisdizione”, che dovrebbe accumunare giudici e pubblici ministeri, pur nella netta affermazione della diversità delle funzioni esercitate. In questa prospettiva, l’unicità del concorso d’accesso e di parte della formazione successiva, la possibilità, anche se limitata, di passare da una funzione all’altra, non dovrebbero essere viste come foriere di temibili commistioni/condizionamenti, quanto piuttosto come elementi che rafforzano la consapevolezza dell’unico comune compito della ricerca della verità processuale/garanzia della giustizia.

Il riconoscimento della centralità del ruolo del Giudiziario e della sua indipendenza in un sistema democratico mi sembra particolarmente necessario a fronte dei tentativi di delegittimizzazione della magistratura, di cui sono un esempio le recenti vicende collegate alla gestione del fenomeno migratorio. Nel progetto di riforma costituzionale questo approccio si ritrova nella proposta di utilizzare il sorteggio come modalità di scelta dei membri dei Consigli superiori della magistratura. Non si intende mettere in discussione il ruolo paritario riconosciuto a tutti i magistrati, che fa del potere giudiziario un potere diffuso anche ai fini del conflitto di attribuzione, quanto evidenziare il senso di svilimento che emerge da una tale ipotesi, la banalizzazione della funzione dell’organo espressa dall’indifferenza verso i soggetti che potrebbero farne parte. Sergio Bartole parla a tal riguardo dell’introduzione di un “elemento solipsistico”, segnalando che «è dubbio che senza la mediazione dell’associazionismo giudiziario e del rilievo di questo nella formazione elettorale dei collegi de quibus, quella posizione personale [del singolo magistrato] possa confluire in una mediazione collettiva capace di dare forza ed autorità alla magistratura nel contesto dei rapporti fra i poteri»[17].

Un cenno, infine, alla proposta di creare un’autonoma Alta Corte disciplinare. Si tratta di una soluzione che astrattamente potrebbe rientrare tra gli strumenti di garanzia dell’indipendenza della magistratura individuati anche nei documenti europei[18]. Tuttavia, in questo caso quello che rileva è il contesto in cui la stessa si inserisce. Non a caso viene privilegiato il sorteggio per la scelta della componente togata, mentre viene esclusa la possibilità di impugnazione dei provvedimenti innanzi alla magistratura ordinaria, prevedendo una sorta di “riesame” da parte dello stesso organo in una composizione differente, secondo le modalità che la legge di attuazione definirà.

Si tratta di aspetti diversi, che però nel loro insieme, partendo dalla “separazione delle carriere”, propongono una modifica sostanziale degli equilibri immaginati dai Costituenti e che sono a mio parere ancora da mantenere in un sistema liberal-democratico. A fronte della proposta separazione, la riaffermazione dell’autonomia di tutti i magistrati e il mantenimento dell’obbligatorietà dell’azione penale appaiono deboli baluardi.


*Professoressa ordinaria di Diritto pubblico comparato

[1] AC 1917; il 9 dicembre 2024 è iniziata la discussione in Assemblea; per il relativo iter v. www.camera.it/leg19/126?pdl=1917. La citazione indica la sintetica illustrazione del punto 1) Obiettivi e necessità dell’intervento normativo. Coerenza con il programma di governo.

[2] Le citazioni sono tratte dall’intervento di presentazione del Ministro nella seduta della Camera dei deputati del 13 giugno 2024 (v. https://documenti.camera.it/leg19/pdl/pdf/leg.19.pdl.camera.1917.19PDL0095000.pdf). Cfr. S. Bartole, Una lettura critica della relazione che accompagna il disegno di legge costituzionale in materia di ordinamento giurisdizionale, 18 settembre 2024, in https://www.diariodidirittopubblico.it/una-lettura-critica-della-relazione-che-accompagna-il-disegno-di-legge-costituzionale-in-materia-di-ordinamento-giurisdizionale/ Va segnalato che sono stati abbinati anche ulteriori progetti presentati dai parlamentari, che – pur con soluzioni differenti – perseguono il medesimo obiettivo della netta separazione tra la magistratura giudicante e quella requirente.

[3] Non è questa la sede per approfondire i profili della disciplina della magistratura requirente che, soprattutto dopo le riforme più recenti dell’ordinamento giudiziario, si caratterizza per una maggiore articolazione gerarchica, pur senza che sia messa in discussione l’autonomia di ciascun procuratore.

[4] Il riferimento è alla legge 7 giugno 2022, n. 71, contenente diverse deleghe in materia di giustizia, tra cui quella per la riforma dell’ordinamento giudiziario, che all’art. 12 fissa le nuove regole per i passaggi dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa; va ricordato che già con il d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160, la “riforma Castelli”, era stata introdotta una serie di limiti al cambio di funzioni, che comunque poteva avvenire al massimo quattro volte, con la previsione della permanenza almeno di un quinquennio nelle funzioni che si volevano mutare.

[5] In occasione dell’audizione informale del 12 settembre 2024 dinanzi alla Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati, il dott. Domenico Gallo (già presidente di sezione della Corte di cassazione) riportava alcuni dati recenti sui passaggi di funzione: «2019 (anno intero): sono stati 5 i magistrati giudicanti trasferitisi al ruolo di inquirenti, mentre 19 pubblici ministeri sono diventati giudici; 2020: sono stati 10 i magistrati giudicanti trasferitisi al ruolo di inquirenti, mentre 15 pubblici ministeri sono diventati giudici;·2021: sono stati 15 i magistrati giudicanti trasferitisi al ruolo di inquirenti, mentre 16 pubblici ministeri sono diventati giudici», così segnalando il numero molto limitato degli stessi. Cfr. D. Gallo, Il ddl Nordio e le altre proposte di riforma costituzionale dell’assetto giurisdizionale, in www.questionegiustizia.it/articolo/audizione-gallo-ddl-autonomia.

[6] V. sent. Corte cost., n. 37/2000, del 3 febbraio 2000, p.to 5 Considerato in diritto; il referendum svoltosi nel maggio 2021 non ottenne il quorum, con una partecipazione di poco più del 30 % degli elettori; un quesito con la medesima finalità fu riproposto nel “pacchetto” di referendum sulla giustizia che si sono svolti nel giugno 2022, anche in questo caso senza raggiungere la soglia di validità: v. in generale F. Lazzeri, Referendum sulla giustizia: guida alla lettura dei sei quesiti, in www.sistemapenale.it/it/scheda/referendum-giustizia-guida-lettura-quesiti (sull’ammissibilità del referendum v. sent. Corte cost. n. 58/2022, del 16 febbraio 2022).

[7] Cfr. l’intervento di presentazione del Ministro nella seduta della Camera dei deputati del 13 giugno 2024 (v. https://documenti.camera.it/leg19/pdl/pdf/leg.19.pdl.camera.1917.19PDL0095000.pdf).

[8] È curioso il richiamo alle “carriere” nel titolo e nel testo del progetto di revisionenel momento in cui nella nuova versione dell’art. 105 si elimina il riferimento alle “promozioni” e lo si sostituisce con quello ai «conferimenti di funzioni»; del resto è l’art. 105, c. 3, Cost. a rompere con la precedente organizzazione gerarchica della magistratura stabilendo che «I magistrati si distinguono tra loro solo per diversità di funzioni»: v. sul punto A. Pizzorusso, L’organizzazione della giustizia in Italia, Torino, 1990, 45 ss.

[9] Cfr. il Dossier 33/2024, seconda versione, https://documenti.camera.it/leg19/dossier/Pdf/gi0010.pdf, v. anche la sezione monografica pubblicata nella rivista DPCE online, n. 1/2024, con introduzione di S. Lonati, S. Panizza, The public prosecutor in the major contemporary legal systems: checks and balances of criminal prosecution. An introduction, 115 ss., reperibile all’indirizzo https://www.dpceonline.it/index.php/dpceonline/issue/view/64.

[10] Cfr. l’art. 1 della legge organica sullo statuto della magistratura (www.legifrance.gouv.fr/loda/id/JORFTEXT000000339259).

[11] V. sent. Conseil const., 2017-680 QPC, 8-12-2017, par. 14; sulla giurisprudenza della Corte di Strasburgo si rinvia a A. Baraggia, Il pubblico ministero francese in cerca di identità tra riforme costituzionali e moniti sovranazionali, in Rivista AIC, n. 4, 2014; v. in generale J. Dechepy-Tellier, The public prosecutor’s office in the French legal system, in DPCE online, 1/2024, 311 ss.

[12] Per una riflessione critica sul tema della separazione delle carriere v. S. Sicardi, Ordine giudiziario e separazione delle carriere: pareggiamento o differenziazione delle garanzie di indipendenza?, in A. Pace, S. Bartole, R. Romboli (cur.), Problemi attuali della giustizia in Italia, Napoli, 2010.

[13] Cfr. G. Silvestri, Giustizia e giudici nel sistema costituzionale, Torino, 1997, spec. 108 (corsivo dell’Autore); v. anche E. Bruti Liberati, L’imparzialità del pubblico ministero, in Questione giustizia, 1-2/2024, dedicato a Magistrati: essere e apparire imparziali, www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/l-imparzialita-del-pubblico-ministero.

[14] Si può citare, da ultimo, il Disegno di legge Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio attualmente in discussione in Parlamento; v. le considerazioni di Enrico Grosso, È compito della Repubblica. Note sul DDL Sicurezza, nell’Audizione presso le Commissioni Affari costituzionale e Giustizia del Senato della Repubblica del 22 ottobre 2024, reperibile in Giustizia insieme, 4 novembre 2024 (www.giustiziainsieme.it/en/diritto-penale/3289-ddl-sicurezza-enrico-gross) e il Documento dell’Associazione italiana professori di diritto penale del 4 ottobre 2024, reperibile in Sistema penale, www.sistemapenale.it/it/documenti/pacchetto-sicurezza-il-comunicato-del-consiglio-direttivo-dellassociazione-italiana-dei-professori-di-diritto-penale.

[15] Cfr. S. Sicardi, Ordine giudiziario e separazione delle carriere: pareggiamento o differenziazione delle garanzie di indipendenza?, cit., spec. 49-50.

[16] V. l’analisi di G. Silvestri, Giustizia e giudici nel sistema costituzionale, cit., 96 ss.

[17] Cfr. S. Bartole, L’assetto degli organi di amministrazione e giustizia disciplinare nel disegno di legge costituzionale n. 1917 sulla separazione delle carriere, pubblicata nel sito dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, Lettera 10/2024, www.associazionedeicostituzionalisti.it/it/la-lettera/10-2024-la-separazione-delle-carriere/l-assetto-degli-organi-di-amministrazione-e-giustizia-disciplinare-nel-disegno-di-legge-costituzionale-n-1917-sulla-separazione-delle-carriere.

[18] V. ad esempio la formula di carattere generale presente nella Raccomandazione CM/Rec (2010) 12 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sui giudici: indipendenza, efficacia e responsabilità, pubblicata nella traduzione italiana in Giustizia insieme, www.giustiziainsieme.it/PIDIEFFE/978885484511411.pdf.

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