Le adozioni internazionali da parte delle persone singole: il superamento di un’esclusione non proporzionata e inattuale.

Antonella Anselmo*

Con la sentenza n. 33, depositata in data 21 marzo 2025, Redattrice Giudice Navarretta, la Corte costituzionale ha compiuto un altro importante passo nel definire i criteri di apprezzamento del migliore interesse del minore a vivere e crescere in un ambiente familiare stabile e armonioso.

Il caso sottoposto alla Corte costituzionale proviene dal Tribunale dei minori di Firenze – Ordinanza n. 139/2024 – che, rimodulando una precedente rimessione, già dichiarata inammissibile con sentenza della Corte n. 252/2021, solleva con rinnovata e più ampia motivazione, il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983, con riferimento all’art. 2, Cost. e all’art. 117, Cost. in relazione all’art. 8, CEDU, nella parte in cui non include le persone singole fra coloro che possono adottare un minore straniero residente all’estero.  

La vicenda riguarda una dichiarazione di disponibilità all’adozione di un minore straniero, presentata da una signora non coniugata e volto all’emissione del decreto di idoneità.

Più nel dettaglio, il giudice a quo prospetta il dubbio che l’esclusione delle persone singole, dalla possibilità di adottare minori stranieri residenti all’estero, non sia idonea a realizzare in concreto il miglior interesse del minore, quale fine dell’istituto dell’adozione, e contestualmente violi il diritto alla vita privata di cui all’art. 8, CEDU. 

Si è costituita in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato, la quale ha eccepito l’inammissibilità della questione, rinviando alla precedente giurisprudenza costituzionale e al mancato riferimento nell’Ordinanza di rimessione all’art. 6 l. 184/1983 – requisiti per gli adottandi – e argomentando in merito alla natura politica della scelta da parte del legislatore italiano, asseritamente non sindacabile dal Giudice delle Leggi.

Inoltre, con sguardo volto al merito, l’Avvocatura eccepisce che un’eventuale pronuncia possa creare discrasie tra le adozioni internazionali e quelle interne.

La Corte, superate le eccezioni di inammissibilità, focalizza la questione in relazione al solo art. 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983, stante il rinvio, ivi contenuto, al successivo art. 30 comma 1[1], la cui valutazione di costituzionalità risulta assorbita.  La Corte precisa che la questione esaminata attiene alla condizione della persona che ha lo stato libero, in quanto non vincolata da un matrimonio (art. 86, primo comma, prima parte, c.c.); mentre resta impregiudicata la valutazione della condizione della persona che non ha lo stato libero, in quanto è parte di un’unione civile (art. 86, primo comma, seconda parte, c.c.).

La prospettiva ermeneutica adottata dalla Corte risiede innanzitutto nella previa ricostruzione storica dell’istituto, metodologia che consente di aprire lo sguardo sull’evoluzione dello stato democratico e delle trasformazioni sociali attraverso la formula aperta di cui all’art. 2 della Costituzione; a ciò si aggiunge l’accertamento degli obblighi internazionali che proteggono i diritti fondamentali della persona, la vita privata e l’autodeterminazione.

Attraverso un chiaro e condivisibile percorso argomentativo la Corte approda alla declaratoria di illegittimità di un automatismo legislativo escludente che appare non proporzionato e lesivo della vita privata, affidando al giudice la valutazione concreta, caso per caso, circa l’idoneità dell’adottante (decreto di idoneità per l’adozione).  La questione coinvolge dunque due distinti interessi: quello delle persone singole che aspirano a poter adottare, per i quali è prospettata la lesione degli artt. 2 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU, e quello – certamente primario – del minore, interesse che rappresenta il fulcro stesso dell’istituto dell’adozione, come rimarcato dall’Ordinanza di rimessione.

Esaminata la legislazione previgente, che già contemplava adozioni da parte di singoli soprattutto per esigenze patrimoniali, la Corte rileva come la legge n. 184 del 1983, che ha abrogato l’adozione speciale, sostituisce una disciplina generale di adozione piena destinata a tutti i minori d’età in stato di abbandono, riservando l’adozione codicistica alle persone maggiori di età (Capo II del Titolo VIII del Libro I, c.c.).

Principio ispiratore della l. 184 è il primario interesse del minore[2], perseguito attraverso:

  1. il diritto a essere cresciuto e educato nell’ambito della famiglia d’origine e, ove ciò non sia possibile,
  2.  la garanzia di un ambiente familiare stabile e armonioso («un foyer stable et harmonieux»), in linea con il principio affermato all’art. 8, paragrafo 2, dalla Convenzione di Strasburgo del 1967.

Ebbene, nell’astratto apprezzamento dell’interesse del minore, l’art. 6, comma 1, della legge n. 184 del 1983 dispone che «[l]’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni. Tra i coniugi non deve sussistere e non deve avere avuto luogo negli ultimi tre anni separazione personale neppure di fatto».

La disposizione origina, da un lato, dalla ormai risalente nozione di stato di “figlio legittimo”, che presupponeva il vincolo matrimoniale fra i genitori, e, dall’altro, dalla bigenitorialità, associata alla stabilità della coppia unita in matrimonio.

In effetti nel 1983 il legislatore italiano, nel definire la platea delle persone idonee all’adozione, non aveva accolto le opzioni rinvenibili nell’art. 2 della Convenzione de L’Aja sull’adozione internazionale, che pure contemplava tra gli aspiranti adottanti anche le persone singole.

Nonostante il non integrale adeguamento alla disciplina internazionale, la Corte riconosce come la l. 184/1983 già contempli casi limitati di adozione da parte delle persone singole purché idonee garantire un ambiente stabile e armonioso al minore (art. 25 commi 4 e 5 l. cit.[3]).

Secondo la Corte, inoltre, nell’adozione in casi particolari regolata dall’art. 44 della legge n. 184 del 1983, il legislatore già riconosce l’astratta idoneità della persona singola a garantire un ambiente stabile e armonioso persino rispetto a minori che, di norma, richiedono un impegno particolarmente elevato[4].

Trattasi di casi limitati che presentano precise ragioni ma che rendono possibile in astratto l’ampliamento della platea degli adottanti, pur a fronte della regola generale che esclude l’accesso alle adozioni alle persone singole, incidendo sull’effettività della tutela dei minori abbandonati. 

Orbene, pur in assenza di una pronuncia specifica da parte della Corte di Strasburgo sull’ argomento, l’osservanza delle coordinate ermeneutiche offerte dalla medesima Corte sovranazionale e il raccordo con i principi costituzionali interni, offrono alla Corte costituzionale l’opportunità di intervenire per garantire tutela ai diritti previsti dalla Convenzione.

Spetta infatti agli Stati contraenti, in base al principio generale di sussidiarietà, il compito di garantire i diritti e le libertà convenzionali all’interno dei rispettivi ordinamenti[5].

L’inquadramento della materia consente di affermare che l’aspirazione alla costituzione di relazioni genitoriali rientra nell’ambito dell’autodeterminazione e delle libertà nella vita privata[6].

L’interesse del legislatore ad ampliare gli spazi dell’autodeterminazione orientata alla genitorialità, oltre i casi di procreazione naturale, si deve commisurare in relazione all’interesse primario del minore, cui è correlata la responsabilità genitoriale.

Ciò esclude il riconoscimento di un vero e proprio “diritto alla genitorialità”, in sé considerato[7].

Nondimeno l’autodeterminazione orientata alla genitorialità può espandersi avendo riguardo al complesso degli altri interessi, purché non risulti irragionevole e non proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito.  

L’ingerenza escludente del legislatore è allora ammissibile, purché proporzionata allo scopo legittimo perseguito, tenuto conto del giusto equilibrio che deve essere garantito tra gli interessi concorrenti rilevanti.[8]

Considerato altresì che sia la Convenzione EDU che la Carta costituzionale sono strumenti viventi [9] la Corte riconosce che l’esclusione della persona singola dall’accesso all’adozione internazionale lede gli artt. 2 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU.

Il fulcro dell’accertata illegittimità (pgf. 9) si fonda sul fatto che la disposizione censurata interferisce sul diritto alla vita privata, inteso come libertà di autodeterminazione alla genitorialità. Tale libertà non solo non confligge con l’interesse primario del minore, ma addirittura lo tutela: nella richiesta di adozione emerge in concreto la finalità di solidarietà sociale indirizzata verso bambini o ragazzi che già esistono e necessitano di protezione, in quanto abbandonati.

Se scopo dell’adozione internazionale è quello di accogliere in Italia i minori abbandonati, la limitazione all’idoneità ad adottare, per le persone singole, non risponde a una esigenza sociale pressante e configura – nell’attuale contesto giuridico-sociale – una interferenza non necessaria e incompatibile con lo stato democratico.

La barriera all’accesso all’adozione internazionale, conclude la Corte costituzionale, determina un sacrificio dell’autodeterminazione orientata alla genitorialità, che – specie nell’attuale contesto giuridico-sociale – rischia di riverberarsi negativamente sulla stessa effettività del diritto del minore a essere accolto in un ambiente familiare stabile e armonioso.

Già in passato la Corte aveva rilevato che i limiti frapposti all’autodeterminazione orientata alla genitorialità «non possono consistere in un divieto assoluto […] a meno che lo stesso non sia l’unico mezzo per tutelare altri interessi di rango costituzionale»[10] .

Trapela in ultimo una convinzione del Giudice delle leggi, in linea che con altri approdi giurisprudenziali[11]: l’indimostrata correlazione, in via esclusiva e apodittica, tra vincolo coniugale e configurabilità di una condizione familiare stabile e armoniosa.

E a ben vedere, appare questo il fulcro della decisione, considerato che con memoria integrativa dell’8 gennaio 2025, la Presidenza del Consiglio dei ministri aveva letto, nell’impostazione dell’ordinanza di rimessione, «una sostanziale inversione della gerarchia dei valori costituzionali, in forza della quale in buona sostanza le forme giuridiche di tutela del minore sembrano doversi modellare in funzione delle (pur lodevoli) istanze di genitorialità espresse dalle persone singole». A tale argomentazione aggiungeva che, in ogni caso, «l’idoneità dei singoli» a adottare sarebbe «riconosciuta in varie fattispecie normative nelle quali [sarebbe] funzionale alla maggior tutela del minore».

In altri termini, con l’approfondito iter argomentativo descritto, la Corte costituzionale esclude l’esistenza di una gerarchia valoriale delle relazioni genitoriali concretamente realizzabili nella sfera privata.

Risulta infatti estranea al dettato costituzionale la presunzione di una gerarchia tra modelli familiari, imposta dal legislatore: cade la presunta primarietà della famiglia fondata sul matrimonio rispetto alle altre formazioni sociali fondate su relazioni affettive e responsabili, di pari dignità sociale, non necessariamente plasmate sul solo modello naturale.

La valutazione della possibilità di realizzare un contesto familiare stabile e armonioso, anche dissimile dall’imitatio naturae, deve esserevalutato in concreto caso per caso e senza pregiudizi di sorta.  


[1] L’ art. 30, comma 1, della legge n. 184 del 1983, prevede che «[i]l tribunale per i minorenni, ricevuta la relazione di cui all’articolo 29-bis, comma 5, sente gli aspiranti all’adozione, anche a mezzo di un giudice delegato, dispone se necessario gli opportuni approfondimenti e pronuncia, entro i due mesi successivi, decreto motivato attestante la sussistenza ovvero l’insussistenza dei requisiti per adottare».

[2] Sul primario interesse del minore, precisa la Corte, si vengono poi a focalizzare anche i successivi interventi che modificano e integrano la disciplina del 1983: l’art. 3 della legge 31 dicembre 1998, n. 476 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, L’Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori stranieri), che sostituisce il Capo I del Titolo III della legge n. 184 del 1983, incorporando i contenuti della Convenzione de L’Aja; la legge 28 marzo 2001, n. 149 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile), che innova vari aspetti della disciplina, regola compiutamente l’affidamento familiare (con il nuovo Titolo I-bis) e riproduce la centralità del minore nella nuova intitolazione della legge, riferita al «Diritto del minore ad una famiglia»; il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), il cui art. 100 adegua la legge n. 184 del 1983 alla terminologia introdotta con la riforma della filiazione; la legge 19 ottobre 2015, n. 173 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare), che rafforza l’affidamento familiare; la legge 11 gennaio 2018, n. 4 (Modifiche al codice civile, al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in favore degli orfani per crimini domestici), che, ai fini che qui interessano, regola l’ipotesi dell’affidamento familiare del minore orfano di uno dei genitori, la cui morte sia stata cagionata volontariamente dall’altro genitore (art. 4, comma 5-quinquies, della legge n. 184 del 1983).

[3] Il comma 4 consente l’adozione piena se «uno dei coniugi muore o diviene incapace durante l’affidamento preadottivo». Il comma 5 prevede, inoltre, che l’adozione piena possa essere direttamente disposta nei confronti di uno solo dei due aspiranti genitori, che ne faccia richiesta, se «nel corso dell’affidamento preadottivo interviene separazione tra i coniugi affidatari».

[4] L’art. 44, comma 3, della legge n. 184 del 1983 consente, infatti, l’adozione in casi particolari anche alla persona non coniugata nelle ipotesi indicate alle lettere a), c) e d) del comma 1. Nello specifico, le ultime due previsioni fanno riferimento a minori affetti da disabilità (art. 3, comma 1, della legge n. 104 del 1992), che siano anche orfani di padre e di madre, e a minori per i quali sia risultato impossibile l’affidamento preadottivo.

[5] Secondo l’art. 53 CEDU, espressamente richiamato dalla Corte costituzionale, «[n]essuna delle disposizioni della […] Convenzione può essere interpretata in modo da limitare o pregiudicare i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali che possano essere riconosciuti in base alle leggi di ogni Parte contraente o in base a ogni altro accordo al quale essa partecipi». I Paesi contraenti possono rafforzare la tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali riconosciuti nel loro ordinamento, in coordinamento con le disposizioni della Convenzione (Corte EDU (sentenze 17 gennaio 2017, A.H. e altri contro Russia; 22 gennaio 2008, E.B. contro Francia).

[6] Per la giurisprudenza costituzionale, vd. sentenze nn. 162 del 2014 e. 332 del 2000, con riguardo alla procreazione naturale, nonché sulla scelta alla genitorialità in relazione all’art. 2 Cost. sentenza n. 161 del 2023. Su “vita privata”, di cui all’art. 8 CEDU, sentenza n. 221 del 2019. Analogamente la giurisprudenza della Corte EDU chiarisce che «la nozione di “vita privata” ex articolo 8 della Convenzione è una nozione ampia, che non si presta a una definizione esaustiva. La stessa comprende l’integrità fisica e psicologica di una persona (X e Y c. Paesi Bassi, 26 marzo 1985, § 22, […]) e  il diritto di instaurare e sviluppare rapporti con altri esseri umani (Niemietz c. Germania, 16 dicembre 1992, § 29; l’identità fisica e sociale di una persona (Mikulić c. Croazia, n. 53176/99, § 53, […]); il diritto alla realizzazione personale o il diritto all’autodeterminazione (Pretty c. Regno Unito, n. 2346/02, § 61 […]); il diritto al rispetto delle decisioni di diventare o meno genitore (Evans c. Regno Unito [GC], n. 6339/05, § 71, […], e A, B e C c. Irlanda [GC], n. 25579/05, § 212, […])» (Corte EDU, sentenza 27 maggio 2021, Jessica Marchi contro Italia, paragrafo 60; nello stesso senso, sentenze 17 aprile 2018, Lazoriva contro Ucraina, paragrafo 66; 16 gennaio 2018, Nedescu contro Romania, paragrafo 66; 24 gennaio 2017, Paradiso e Campanelli contro Italia, paragrafi 159, 161-165).

[7] Corte cost. sentenze n. 33 del 2021, n. 230 del 2020 e n. 221 del 2019; Corte EDU, sentenze 24 gennaio 2017, Paradiso e Campanelli contro Italia, paragrafo 141; 22 gennaio 2008, E.B. contro Francia, paragrafo 41; 28 giugno 2007, Wagner e J.M.W.L. contro Lussemburgo, paragrafo 121; 26 febbraio 2002, Fretté contro Francia, paragrafo 29.

[8] Occorre al riguardo riconoscere lo spazio discrezionale in capo agli Stati, Corte EDU, sentenza 18 maggio 2021, Valdis Fjölnisdóttir e altri contro Islanda, paragrafo 68.

[9] Corte EDU, sentenze 17 gennaio 2023, Fedotova e altri contro Russia, paragrafo 167; nello stesso senso, sentenze 19 febbraio 2013, X e altri contro Austria, paragrafo 139; 22 gennaio 2008, E.B. contro Francia;28 giugno 2007, Wagner e J.M.W.L. contro Lussemburgo; 26 febbraio 2002, Fretté contro Francia.

[10] Sentenza n. 162 del 2014

[11] Sentenza n. 183 del 1994, ove si afferma che i principi costituzionali «non vincolano l’adozione dei minori al criterio dell’imitatio naturae in guisa da non consentire l’adozione da parte di un singolo se non nei casi eccezionali in cui è oggi prevista dalla legge n. 184 del 1983» sicché anche il modello della famiglia monoparentale trova riconoscimento nella Costituzione.

*Avvocata del Foro di Roma

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