LE COPPIE OMOGENITORIALI

Pur a fronte del fondamento costituzionale della tutela delle coppie omosessuali quali formazioni sociali cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente la loro condizione (Corte costituzionale, sentenza n. 138 del 2010), il mancato riconoscimento da parte del legislatore dell’accesso alla procedura di adozione, i divieti di fecondazione eterologa (lecita solo per le coppie eterosessuali) e di gestazione per altri fanno emergere un diverso profilo di problematicità che attiene alla genitorialità. Molti sono gli interrogativi che si pongono a tale proposito e che sono stati, in parte, oggetto di decisioni della Corte costituzionale, della Corte di cassazione e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Tali pronunce hanno avuto come comune denominatore l’attenzione alla posizione del nato nell’ambito delle famiglie omogenitoriali: proprio rispetto a tale profilo e tenendo conto delle indicazioni che da esse emergono, occorre interrogarsi sul se e con quali modalità si possa o si debba regolamentarne la costruzione dello status filiationis (e, dunque, dell’identità personale e famigliare).

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Angelo Schillaci
Editor
2 anni fa

OMOGENITORIALITÀ: UNA STORIA LUNGA DIECI ANNI.
Sono passati poco più di dieci anni da quando – l’11 gennaio 2013 – la Corte di cassazione si pronunciava per la prima volta sul rapporto tra omosessualità e idoneità all’esercizio della responsabilità genitoriale, stigmatizzando come “mero pregiudizio” la convinzione che “sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale” (Cass., I sez. civ., 11 gennaio 2013, n. 601). In questi dieci anni, a fronte di una crescente e sempre più intensa domanda di riconoscimento da parte delle famiglie omogenitoriali, l’ordinamento giuridico (e il processo politico) si sono “avvicinati alla vita” non senza fatica, in un percorso che ha visto coinvolte istanze sociali, forze politiche, enti locali, Corti nazionali e sovranazionali. Una “lotta per il riconoscimento” che – se ha progressivamente visto maturare, nell’esperienza giuridica e culturale, un atteggiamento di maggiore apertura verso “nuove” forme familiari – è ben lungi dal potersi dire conclusa. Lo stesso – sin qui unico – intervento del legislatore a tutela della vita familiare omosessuale, vale a dire la legge 20 maggio 2016, n. 76, istitutiva delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, nulla dispone in materia di filiazione se si eccettua la clausola di salvaguardia di quanto “previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”. Un riferimento, quest’ultimo, che si comprende alla luce del fatto che – negli stessi tormentati mesi in cui il Parlamento dibatteva sull’opportunità, poi tramontata, di dare tutela alle bambine e ai bambini con genitori dello stesso sesso mediante l’estensione alle parti dell’unione civile dell’accesso all’istituto dell’adozione del figlio del coniuge di cui all’articolo 44, lett. b) della legge 5 maggio 1983, n. 184 – un’altra lettera di quello stesso articolo, la d), veniva già applicata dalle Corti minorili al medesimo scopo. Fin dal luglio del 2014, infatti, il Tribunale per i minorenni di Roma aveva inaugurato un orientamento interpretativo di tale disposizione – che sarebbe stato poi confermato dalla Cassazione, per ironia della sorte, proprio nei giorni in cui entrava in vigore la legge n. 76/2016 – il quale, tra l’altro, confermava l’irrilevanza dell’orientamento sessuale dell’adottante, in uno con l’omosessualità della coppia genitoriale, ai fini della valutazione della corrispondenza dell’adozione all’interesse del minore. Seppur risalente, la vicenda appena ricostruita può ben dirsi rappresentativa delle difficoltà che hanno caratterizzato, in questa materia, i rapporti tra Corti, legislatore e, più in generale, processo politico; rapporti che, peraltro, sarebbero divenuti via via più complessi dopo il 2016, vedendo coinvolti nuovi attori istituzionali e, in particolare, numerosi Sindaci.
Negli anni successivi, infatti, si sono registrate – almeno in una prima fase – significative aperture nella giurisprudenza, soprattutto delle corti di merito. In particolare, a partire dal 2016, numerosi Tribunali e altrettanto numerose Corti d’appello hanno ritenuto possibile non solo la formazione di atti di nascita recanti l’indicazione di due madri per minori nati in Italia; ma anche la trascrizione di atti di nascita esteri con doppia maternità e, più faticosamente, di quelli con doppia paternità. Sulla base di queste aperture numerosi Comuni hanno iniziato ad effettuare iscrizioni e trascrizioni anagrafiche a favore delle bambine e dei bambini con genitori dello stesso sesso. Per quel che riguarda, in particolare, la formazione di atti di nascita di minori nati in Italia in coppie di donne a seguito del ricorso, all’estero, a tecniche di p.m.a. eterologa non consentite in Italia, ciò è avvenuto aderendo a una interpretazione estensiva degli articoli 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 che, in questa eventualità fa prevalere (nel caso di coppie eterosessuali) il principio di responsabilità procreativa e la conseguente tutela del minore. La situazione è progressivamente mutata a partire dal 2019 e tali orientamenti – con l’unica eccezione di quello relativo alla trascrivibilità dell’atto di nascita estero con due madri – sono stati superati dalla giurisprudenza di legittimità. Al momento si contano almeno sette decisioni negative della Corte di cassazione sulla formazione di atti di nascita interni con doppia maternità e due decisioni delle Sezioni Unite della stessa Corte di cassazione sull’impossibilità di trascrivere l’atto di nascita formato all’estero a seguito di nascita da gestazione per altri, con indicazione di due padri. In questo ultimo caso, in particolare, si è ritenuto che la modalità della nascita – la gestazione per altri, che il nostro ordinamento guarda con massimo disfavore, qualificandola come reato e sulla quale anche la giurisprudenza costituzionale ha utilizzato parole di grande severità, ritenendola una pratica sempre contraria alla dignità della donna, declinata nella sua dimensione oggettiva (cfr. sent. n. 272/17) – impedisca all’atto di nascita estero di produrre effetti nel nostro ordinamento. In assenza dell’evidenza del ricorso a tale pratica – come nel caso della nascita all’estero in coppia di madri – viene ritenuto invece prevalente l’interesse del minore alla continuità dello status, con conseguente trascrivibilità dell’atto di nascita.
Tale assetto è stato confermato – nel 2021 – da due importanti sentenze della Corte costituzionale (la n. 32 e la n. 33) le quali, pur ritenendo insuperabile in via interpretativa il vuoto di tutela esistente nell’ordinamento per le bambine e i bambini con genitori dello stesso sesso, tale vuoto ha tuttavia fortemente stigmatizzato, invitando il legislatore a provvedere, avvertendo (nella sentenza n. 32) che “non sarebbe più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa, tanto è grave il vuoto di tutela del preminente interesse del minore, riscontrato in questa pronuncia”.
Un vuoto colmato solo in parte dal ricorso – indicato come via di uscita nella totalità degli arresti di segno negativo sin qui ricordati – all’adozione in casi particolari. Tale istituto, nato per far fronte alla ben diversa esigenza di aggiungere un genitore a una costellazione familiare esistente ma insufficiente ad assicurare piena tutela all’interesse del minore, mal si presta – infatti – a dare risposta alle specifiche esigenze delle famiglie omogenitoriali: e ciò, sia per l’assenza di una specifica previsione legislativa che assicuri, con certezza, l’accesso a tale forma di tutela, sia per alcuni intrinseci limiti dell’istituto. Vero è che la sentenza n. 79/2022 della Corte costituzionale ha superato il limite forse più penetrante (dato dalla mancata instaurazione del legame parentale con la famiglia di origine dell’adottante) e che la giurisprudenza di legittimità ha avviato, non senza forzature, il superamento in via interpretativa della necessità del consenso del genitore legale, che molti problemi crea nei casi di separazione conflittuale tra i genitori (cfr. Cass. SS. UU., sent. n. 38162/22). Rimangono però intatte le peculiari difficoltà derivanti – ad esempio – dalla necessità di una iniziativa dell’adottante (rispetto all’automatica esigibilità della responsabilità genitoriale nel diverso caso delle registrazioni anagrafiche) e, soprattutto, dalla estrema onerosità della procedura adottiva (in termini temporali, economici ed esistenziali) che non trova alcuna ragionevole giustificazione nei concreti caratteri delle esperienze di vita delle famiglie omogenitoriali. Proprio tale ultimo aspetto meriterebbe di essere approfondito e discusso, nell’ottica di far valere – nella riflessione comune su questo tema – non tanto un astratto principio di non discriminazione quanto, piuttosto, l’esigenza di assicurare a queste famiglie (e alle loro figlie e figli) pari dignità sociale nella conservazione di differenze e specificità che non possono né devono essere taciute.