L’elezione di Claudia Sheinbaum Pardo, la prima Presidenta del Messico, e il costituzionalismo trasformatore

TANIA GROPPI*

1. “Non arrivo sola. Oggi arriviamo tutte, con le nostre madri, le nostre nonne, le nostre figlie e le nostre nipoti”: con queste parole, pronunciate davanti alla folla in festa sullo Zocalo, l’immensa ed iconica piazza centrale di Città del Messico, nella notte del 2 giugno 2024, Claudia Sheinbaum Pardo ha celebrato la sua elezione a “Presidenta” del Messico, prima donna a ricoprire questa carica nei più di due secoli trascorsi dall’indipendenza (1821). Per passare subito dopo ad evocare i nomi delle grandi donne della storia del Messico, che hanno aperto la strada alla partecipazione politica, iniziando da Juana Ines de la Cruz, intellettuale e poetessa del XVII secolo. E sottolineare che le donne saranno protagoniste della sua presidenza. Accanto a lei, sul palco, Clara Brugada celebrava l’elezione a jefa de gobierno de la Ciudad de México, una carica ricoperta da Sheinbaum per sei anni, fino alle dimissioni imposte, in fine di legislatura, dall’avvio della campagna presidenziale.

Il 2 giugno 2024 entra senza dubbio nella storia per l’elezione della prima Presidenta. Ma non solo. In queste elezioni dei record (si votava per 20.000 cariche: oltre alla presidenza, il Congresso Federale, 9 governatori e 30 Congressi statali, nonché esecutivi e legislativi dei municipi in 30 Stati; sono stati installati 170.000 seggi elettorali, casillas, per consentire il voto di 98 milioni di elettori) altre donne sono state elette governadoras di diverse entità federative (come si denominano gli Stati membri in Messico): anche qui si tratta delle prime donne che occupano tali cariche, fino ad oggi ininterrottamente di dominio maschile (è il caso degli Stati di Guanajuato, Morelos, Veracruz). Il Congresso federale, quelli degli Stati membri, e tutte le assemblee municipali sono perfettamente paritari.

Come è stato possibile questo risultato? La parità di genere nell’accesso alle cariche pubbliche in Messico è diventata un aspetto centrale della democrazia elettorale soltanto in anni recenti: le donne hanno ottenuto il diritto di voto nel 1955 e fino al 2020 solo 7 donne erano state elette governatrici dei 32 Stati messicani (mentre 9 sono quelle elette dopo il 2020). Ancora nel 2012, le donne rappresentavano il 28,4% dei componenti del Congreso e il 17,2% di quelli del Senado. Si è trattato di una felice combinazione di interventi legislativi e giurisprudenziali, che hanno alzato sempre più l’asticella, culminando con la revisione, nel 2019, dell’art. 38 della Costituzione, che ha introdotto la “paridad en todo”. In un paese tradizionalmente machista e patriarcale, si è di fronte a un esempio di utilizzo trasformativo del diritto, in particolare di “transformative gender constitutionalism”: cioè di un movimento top down, orientato a cambiare i rapporti sociali, in questo caso di genere, attraverso norme giuridiche vincolanti, accompagnate da un apparato sanzionatorio.

Non solo i partiti sono obbligati a candidare un numero paritario di donne e uomini per qualsiasi carica, ma è prevista anche una parità di risultato, che implica una correzione dell’esito elettorale in nome della parità.  Per le cariche monocratiche si compie un complesso conteggio sulla base del quale i partiti sono obbligati a candidare donne in almeno la metà delle competizioni della tornata elettorale (sulla base della sentenza del Tribunale elettorale SUP-RAP-116/2020: per la tornata elettorale del 2024, il Tribunale elettorale ha stabilito che ogni partito dovesse presentare 5 candidate, essendo 9 i governatori/governatrici da eleggere: SUP-RAP-327/2023). L’apparato normativo e i principi giurisprudenziali toccano tutti gli aspetti della competizione elettorale, compreso il finanziamento e la pubblicità, che debbono essere paritari. Di recente il Tribunale elettorale ha dichiarato incostituzionale l’omissione del legislatore, che non ha previsto norme per garantire la parità nell’elezione presidenziale. Il problema si poneva soltanto in astratto in questa tornata, cionondimeno il Tribunale ha stabilito che la riforma costituzionale della “paridad en todo” implica un obbligo per il legislatore di intervenire prima della prossima elezione, prevista per il 2030 (SUP-JDC-574/2023).

2. Sheinbaum Pardo, candidata del partito del presidente uscente, Morena, in coalizione con due piccoli partiti, il partito Verde e il partito del lavoro) ha vinto con un ampio margine  (con il 59,35% e 33.226.602 voti) sulla sua principale avversaria, la candidata della coalizione dei principali partiti di opposizione (PAN; PRI; PRD, storici partiti messicani per la prima volta uniti in una competizione presidenziale) Xochitil Galvez Ruiz (che ha ottenuto il 27,9% e 15.534.168  voti), convertendosi nella presidente che ha ottenuto più voti in termini assoluti e percentuali nella storia del Messico: il suo risultato è migliore di quello del suo mentore, il presidente uscente Andrés Manuel Lopez Obrador, detto AMLO, che nel 2018 aveva ottenuto il 53% dei voti (circa 30 milioni). Va rilevato che, comunque fosse andata la competizione tra le due, una cosa era certa già prima dell’election day: il Messico avrebbe avuto una presidente donna. Il terzo candidato, del Movimiento ciudadano, è sempre stato fuori gioco (ha ottenuto il 10,41% e 5.827.671 voti).

Particolarmente significativo è il profilo della nuova presidente che, se sul piano politico si colloca in perfetta continuità con AMLO, proponendosi di completare quella che viene chiamata “Quarta trasformazione”, ovvero un insieme di politiche sociali volte a supportare le classi più povere, ha però una storia e caratteristiche completamente differenti. 62 anni, fisica e ingegnere ambientale, con un dottorato e vasta esperienza di ricerca all’estero, accademica della UNAM, la più grande e celebre università dell’America latina, figlia di genitori entrambi ebrei ed entrambi scienziati, a loro volta figli di genitori fuggiti dall’Olocausto (dalla Lituania la famiglia del padre, da cui il cognome Sheinbaum, dalla Bulgaria quella della madre, Pardo), Sheinbaum unisce il profilo di scienziata con una vasta esperienza politica e di governo: è stata ministro dell’ambiente nel governo della Città del Messico con AMLO dal 2000 al 2006, quindi sindaca di un popoloso municipio della stessa Città, per poi essere eletta jefa de gobierno della Città del Messico nel 2018, e ha partecipato alla fondazione del partito Morena nel 2011, partito che in pochi anni è divenuto dominante nella sinistra messicana, soppiantando il PRD. La sua attività politica si colloca in linea di continuità con quella dei suoi genitori, entrambi partecipanti ai movimenti studenteschi degli anni 1960 in Messico contro l’autoritarismo e per la democrazia (repressi nel sangue, come emblematicamente mostra la strage di Tlatelolco del 1968) e poi impegnati nei partiti di sinistra. Essa stessa ha partecipato ai movimenti studenteschi degli anni 1980 e militato nel PRD, così come il suo primo marito, conosciuto all’epoca dell’università, con Phd a Stanford, che ne è stato un dirigente nazionale.

Se l’elezione di Sheinbaum Pardo è il culmine di quella “trasformazione attraverso il diritto” in tema di parità di genere della quale il Messico ha assunto la leadership mondiale, anche qui si pone l’interrogativo che sempre ci accompagna. Quale sarà la sua cifra? Riuscirà ad essere apripista per le altre, per i milioni di donne che in Messico come e più che altrove, sono vittime di violenza, occupano posizioni subalterne, sono discriminate e sfruttate? Riuscirà a lasciare il segno di una politica diversa, che operi per una società più giusta, più pacifica, più umana per tutti, uomini e donne? Una grande sfida attente Claudia Sheinbaum Pardo, che eredita un paese dilaniato dalla violenza del narcotraffico, ma anche percorso da una inarrestabile speranza, come la giornata del 2 giugno, una pacifica giornata di partecipazione popolare, segnata da una notevole organizzazione elettorale e da lunghe file ai seggi, giornata alla quale ho avuto il piacere di assistere personalmente, dimostra.

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*Professoressa ordinaria di Istituzioni di Diritto Pubblico – Università di Siena

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