*MATTEO GIANNELLI
1. La diffusione delle tecnologie digitali ha innescato un processo di profonda trasformazione nella natura dei pubblici poteri e nelle modalità di esercizio delle loro funzioni. Il fenomeno elettorale, al pari di molti altri ambiti chiave dello Stato costituzionale, non è immune a questi mutamenti.
È indubbio che le nuove tecnologie possano rappresentare degli strumenti utili per rendere il processo elettorale più inclusivo, efficiente e sicuro. Tuttavia, se da un lato, le innovazioni digitali offrono opportunità per rendere il voto più accessibile, favorire o aumentare la consapevolezza e il coinvolgimento dell’elettore; dall’altro lato, il loro impiego espone i soggetti del procedimento elettorale a nuove forme di vulnerabilità attraverso modalità d’uso improprie, dirette a ostacolare, manipolare e, in definitiva, mettere a repentaglio l’integrità del processo elettorale e del voto.
L’esperienza più recente testimonia che numerosi soggetti privati, come le piattaforme di social media e, più in generale, le cd. Big Tech, sono in grado di condizionare enormemente il pluralismo informativo, la circolazione delle notizie, fino all’esito stesso del voto. Inoltre, queste stesse società private nel momento in cui producono questo tipo di tecnologie si rendono responsabili di potenziali rischi per la trasparenza e la sicurezza delle operazioni elettorali.
Ad oggi, dunque, nel procedimento elettorale si scaricano numerose tensioni, che altro non sono se non la diretta conseguenza della diffusione dell’utilizzo delle tecnologie digitali, come la profilazione algoritmica, di nuove pratiche, come il micro-targeting elettorale, e di rinnovati fenomeni dannosi per i singoli e la società, come i discorsi d’odio o la disinformazione. Esempi di queste conseguenze possono esser rinvenuti nel momento pre-elettorale (come accaduto con il recente annullamento delle elezioni presidenziali in Romania a fine 2024); in quello elettorale, ad es. con la manipolazione dei sondaggi e degli exit poll per alterare il voto; per finire con il momento post-elettorale, a fronte di possibili contestazioni (come accaduto negli Stati Uniti dopo le elezioni presidenziali del 2020, con l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021).
Si tratta fenomeni tra loro molti diversi ma che possono contribuire ad alimentare la disaffezione nei confronti del voto e delle sue procedure. Un tratto di convergenza che manifesta tutta la sua problematicità nei contesti delle democrazia pluralistiche contemporanee che registrano tassi sempre più crescenti di astensionismo elettorale[1].
2. Un simile quadro di rischi e potenziali alterazioni della volontà popolare dovrebbe scoraggiare, o comunque mettere in guardia, il legislatore dall’adottare normative organiche volte a introdurre aspetti innovativi nel procedimento elettorale. Una direzione verso cui hanno spinto due fattori recenti. Da un lato, le novità date dal possibile utilizzo della tecnologia blockchain, che consente potenzialmente di superare molti rilievi critici tradizionalmente mossi al voto elettronico ma che, allo stesso tempo, pone diverse questioni problematiche in relazione alla segretezza e alla pubblicità, in particolare sotto il profilo della trasparenza delle operazioni. Dall’altro, l’impatto dell’emergenza pandemica da COVID-19 e i suoi riflessioni legati alla garanzia e alla sicurezza dei processi elettorali. Quest’ ultima circostanza ha ravvivato il dibattito sulla possibilità di votazioni “a distanza”, pur senza persuadere della praticabilità del voto online né la grande maggioranza dei commentatori[2] né tantomeno i decisori pubblici che hanno optato per il rinvio delle consultazioni elettorali e referendarie[3].
Il tema, tuttavia, si pone diversamente in relazione alla fase che si prende in considerazione e si fa particolarmente pressante nel caso del procedimento elettorale preparatorio, al cui interno le esigenze di sicurezza e integrità non appaiono insuperabili come invece è possibile ritenere nel caso dello svolgimento delle votazioni.
E’ in questo frangente che si inserisce la sentenza della Corte costituzionale n. 3 del 2025 con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 9, terzo comma, della legge 17 febbraio 1968, n. 108 (Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale) e 2, comma 6, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale), nella parte in cui «non prevedono per l’elettore, che non sia in grado di apporre una firma autografa per la sottoscrizione delle liste elettorali per certificata impossibilità derivante da un grave impedimento fisico o perché si trova nelle condizioni per esercitare il voto domiciliare, la possibilità di sottoscrivere un documento informatico con firma elettronica qualificata, cui è associato un riferimento temporale validamente opponibile ai terzi» (così il dispositivo della sentenza).
Il giudice delle leggi ha infatti ritenuto come non sia più adeguato lo strumento, risalente a quando non esisteva la firma digitale, che l’ordinamento ha messo a disposizione dell’elettore con disabilità, e cioè la possibilità per i presentatori di una lista di candidati, che non siano in grado di sottoscrivere per fisico impedimento, di fare la loro dichiarazione in forma verbale, alla presenza di due testimoni, innanzi ad un notaio o al segretario comunale o ad altro impiegato all’uopo delegato dal Sindaco. Tale rimedio, previsto dall’articolo 28 del DPR n. 570 del 1960 con riferimento alle elezioni comunali, trova applicazione anche alle elezioni regionali in forza del richiamo contenuto nell’articolo 1, ultimo comma, della legge n. 108 del 1968. Questa procedura presuppone, infatti, «che i soggetti abilitati a ricevere la dichiarazione verbale e i testimoni si rechino nel domicilio della persona con disabilità, con la conseguenza che a quest’ultima è imposto di attivarsi al fine di ottenere tale presenza, di sostenere gli eventuali oneri economici, e, se del caso, di tollerare una interferenza sulla propria riservatezza».
Secondo il ragionamento della Corte, la condizione giuridica della persona con disabilità è il punto di confluenza di un complesso di principi «che attingono ai fondamentali motivi ispiratori del disegno costituzionale» (punto 4 del Considerato in diritto, con un richiamo a una giurisprudenza precedente e costante). Con riguardo alle persone che non sono in grado di apporre una firma autografa ma risultano capaci, utilizzando le moderne tecnologie, di apporne una digitale, la preclusione derivante dall’art. 2, comma 6, del Codice dell’amministrazione digitale (che esclude le consultazioni elettorali” dal campo di applicazione), incide sui loro diritti politici di cui agli artt. 48 e 49 Cost., tra cui senz’altro rientra quello di sottoscrivere una lista di candidati che possa essere sottoposta al voto degli elettori. Tale attività, concorrendo alla formazione dell’offerta elettorale, attiene direttamente al diritto di elettorato.
La preclusione all’utilizzo della firma digitale anche per le persone con disabilità, prosegue la Corte, determina il paradosso per cui è l’ordinamento giuridico che, anziché rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, introduce esso stesso «un aggravio né necessario, né proporzionato rispetto all’esigenza di verificare l’autenticità e la genuinità della sottoscrizione della lista di candidati, parimenti conseguibile consentendo all’elettore con disabilità di utilizzare la modalità elettronica per sostenere la lista di candidati» (punto 4.2 del Considerato in Diritto).
La firma digitale consentirebbe all’elettore di apporre autonomamente la sottoscrizione necessaria alla presentazione delle candidature, se non vi fosse la preclusione derivante dall’art. 2, comma 6, del Codice dell’amministrazione digitale. Tale preclusione costringe l’elettore a dover ricorrere alla più gravosa e complessa dichiarazione verbale resa davanti a due testimoni e a un soggetto abilitato a verbalizzarla, secondo quanto previsto, come già sopra ricordato, dall’art. 28, quarto comma, del d.P.R. n. 570 del 1960.
La sentenza, in sintesi, interpreta evolutivamente la vigente normativa in materia elettorale regionale alla luce dello sviluppo tecnologico, quale quello attualmente offerto dagli strumenti di sottoscrizione digitale, ritenendo non più ammissibile che l’ordinamento frapponga ostacoli procedimentali a coloro che non siano in grado di sottoscrivere per fisico impedimento una lista di candidati alle elezioni, senza contare l’aggravio di eventuali oneri economici da sostenere per porre in essere quanto richiede la legge.
Particolarmente importante il passaggio in cui la Corte afferma che il combinato delle due disposizioni poi dichiarate illegittime rivela una dinamica normativa in contrasto «con il principio personalista (art. 2 Cost.), che impone di rilevare che la dignità umana è compromessa ogni volta in cui è lo stesso ordinamento giuridico che trasforma, in forza di un suo divieto o di una sua previsione, in inabile e bisognosa di assistenza una persona che, invece, sarebbe in grado, con propri mezzi, di provvedere a compiere una determinata attività» (punto 4.2 Considerato in diritto). Un passaggio di civiltà giuridica di assoluto rilievo che, come si dirà, ha influito rapidamente sulle scelte del legislatore.
3. La sentenza è interessante sotto molti profili accomunati dalla circostanza che la Corte si è trovata a risolvere un problema di esercizio di un diritto fondamentale nell’ottica del funzionamento della democrazia.
È interessante notare, innanzitutto, che il giudice delle leggi si sia dovuto occupare ancora oggi (nel 2025) della legge elettorale regionale del 1968 e del suo impianto di fondo. Come noto prima della riforma costituzionale introdotta con legge costituzionale n. 1 del 1999 in materia di elezioni regionali era competente a legiferare il solo legislatore statale. Solo nel 1968, con vent’anni di ritardo rispetto all’entrata in vigore della Costituzione, il Parlamento approvò la legge elettorale per l’elezione dei consigli regionali delle Regioni a statuto ordinario (l. n. 108 del 1968) poi modificata nel 1995 con la cosiddetta Legge Tatarella (l. n. 43 del 1995).
La legge n. 108 del 1968, come noto, disciplina(va) solo gli aspetti essenziali, ciò che residuava veniva demandato alla legislazione elettorale per i comuni (D.P.R. n. 570 del 1960, recante il Testo Unico in materia di elezioni comunali). Dopo la legge costituzionale n. 1 del 1999, il novellato art. 122, co. 1, della Costituzionale stabilisce che «il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi». La materia elettorale regionale, dunque, passa alle Regioni ma non in toto, dovendo esser rispettati i principi fondamentali introdotti con legislazione statali (un richiamo su cui si è basata anche la pronuncia che ha dichiarato l’illegittimità della legge regionale della Campania n. 16 del 2024 in tema del cd. “terzo mandato”[4]).
Come spesso avvenuto, tuttavia, quasi nessuna Regione ha disciplinato in materia organica la materia elettorale limitandosi solo alla trasformazione dei voti in seggi (tra le poche eccezioni, vedi la legge regionale della Toscana n. 74 del 2004, recante Norme sul procedimento elettorale relativo alle elezioni per il Consiglio regionale e per l’elezione del Presidente della Giunta regionale della Toscana, in applicazione della legge regionale 26 settembre 2014, n. 51 (Norme per l’elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta regionale)). Per questa ragione il richiamo previsto dall’art. 5 della legge costituzionale n. 1 del 1999 ha continuato a operare in molte Regioni – come nel caso laziale che ha dato adito alla sentenza in commento – ben oltre la transitorietà della stessa disposizione e, dunque, ha mantenuto in vigore la legge elettorale del 1968.
In realtà, non si può mancare di osservare come l’altra disposizione dichiarata illegittima della Corte costituzionale sia contenuta in un testo del 2005 quale il Codice dell’Amministrazione Digitale (d.l. n. 82 del 2005), ponendo in termini problematici e quanto mai attuali la necessità di rivedere periodicamente le disposizioni attraverso cui operano i nostri poteri pubblici, incentivando la transizione digitale della pubblica amministrazione in ottica di garanzia degli strumenti di cittadinanza digitale. Sul punto non sono mancate alcune novelle, pur rilevanti (es. d.lgs. n. 217 del 2017) ma non si è mai proceduto a una revisione sistematica delle disposizioni[5].
A ciò si può aggiungere che, ad esempio, in occasione delle ultime elezioni politiche del 25 settembre 2022 non è stato consentito nemmeno il semplice deposito dei contrassegni tramite posta elettronica certificata (PEC), né estesa la possibilità di raccolta in modalità digitale delle sottoscrizioni necessarie per la presentazione delle candidature e delle liste[6]. Circostanza particolarmente singolare in quanto prevista con riferimento ai referendum nazionali e alle proposte di iniziativa popolare, in forza, prima, dell’art. 1, co. 341, della l. n. 178 del 2020 e, poi, dall’art. 38-quater del d.l. n. 77 del 2021 (uno dei tanti c.d. “decreti semplificazioni”). Tant’è che l’Ufficio elettorale centrale nazionale ha confermato l’esclusione di una lista (“Referendum e democrazia”) che aveva presentato le liste dei candidati con le sottoscrizioni richieste, ma raccolte in forma digitale. Si tratta della stessa lista, o meglio movimento, che si è adoperata per sollevare la questione risolta con la sentenza in commento (nell’ambito del cui giudizio si è costituita per il tramite dei suoi rappresentanti).
Il paragone con quanto avvenuto a livello referendario e di iniziativa popolare è particolarmente interessante per molte ragioni[7]. Tra queste vi è l’attivazione, nel luglio del 2024, di una piattaforma pubblica per la raccolta delle firme digitali. Infatti, l’emendamento (poi approvato e confluito in sede di conversione nel d.l. n. 77 del 2021) aveva previsto una norma transitoria per cui i comitati promotori avrebbero potuto raccogliere le firme senza alcuna necessità di intervento da parte di organismi pubblici, attraverso cioè una piattaforma predisposta da un ente certificatore convenzionato con l’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID). Per il superamento di tale norma transitoria ci sono voluti tre anni con un decreto della presidenza del Consiglio pubblicato in Gazzetta Ufficiale (DPCM 18 luglio 2024, recante Attestazione dell’operatività della Piattaforma per la raccolta delle firme espresse nell’ambito dei referendum, di cui all’articolo 1, commi 341 e seguenti, della legge 30 dicembre 2020, n. 178) è stata istituita anche la piattaforma pubblica. Tale scelta non ha solo ha reso molto più semplice raccogliere le firme digitali, semplificando in particolare procedure e eliminando i costi di certificazione a carico degli organizzatori, ma ha anche inciso notevolmente sulla concreta attuazione dei diritti di cittadinanza digitale, attraverso la garanzia della loro confidenzialità, integrità e disponibilità (ovvero i tre principi chiave della sicurezza informatica[8]).
4. Il contenuto della sentenza n. 3 del 2025 è stato recepito, con inusuale rapidità, dal recente d.l. n. 27 del 2025 recante Disposizioni urgenti per le consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2025. L’articolo 4 del decreto legge ampia la portata della pronuncia al di là della sottoscrizione di liste candidati alle elezioni regionali. Il principio affermato dalla Corte, infatti, non può che ricadere anche al di fuori di tale specifico ambito, tenuto conto che ogni aggravio procedimentale irragionevole e non proporzionato configura una discriminazione a danno dei soggetti più deboli in qualsivoglia consultazione elettorale, violando il principio personalista (art. 2 Cost.) e quello di uguaglianza sostanziale (art. 3 Cost.), nonché i diritti politici delle persone vulnerabili (artt. 48 e 49 Cost.).
La disposizione provvede, quindi, per la generalità delle consultazioni elettorali, fin dalle elezioni di questa primavera, ad attuare il disposto della Corte Costituzionale prevedendo, pur nella perdurante vigenza del principio generale di esclusione delle norme del Codice dell’Amministrazione digitale (CAD) alle consultazioni elettorali, la possibilità, per gli elettori che si trovino in una certificata impossibilità derivante da grave impedimento fisico (ciechi, amputati delle mani, affetti da paralisi o altro impedimento di analoga gravità) o nelle condizioni per esercitare il voto domiciliare, di sottoscrivere le liste di candidati con le modalità previste dall’art. 20, comma 1-bis, del codice dell’amministrazione digitale. Il documento informatico (cioè il PDF con la lista dei candidati firmata digitalmente dall’elettore fisicamente impedito) verrà, poi, consegnato dai promotori della lista agli uffici preposti alla ricezione delle candidature, insieme alla documentazione cartacea, su apposito supporto elettronico.
È interessante porre l’attenzione anche sull’articolo 3 del decreto-legge in esame che allo scopo di rafforzare il processo di trasformazione digitale nei servizi elettorali e di innalzare i livelli di resilienza da intromissioni malevole esterne, dispone l’istituzione di un fondo, nello stato di previsione del Ministero dell’interno, con uno stanziamento di euro 800.000 per ciascuno degli armi 2025, 2026 e 2027, destinato al potenziamento delle prestazioni dei servizi erogati dal Sistema Informativo Elettorale (SIEL). Il Fondo servirà ad acquisire server dedicati alla procedura elettorale, a realizzare un sistema alternativo e parallelo, rispetto all’attuale situazione, di trasmissione dei dati elettorali dalla periferia al centro con la creazione di hub territoriali di raccolta e conservazione dei dati che possano soccorrere il sistema centrale in caso di blocchi, anomalie e malfunzionamenti (come evidenziato nella relazione illustrativa che accompagna il disegno di legge di conversione del decreto-legge, A.S. 1245). Ulteriore finalità, particolarmente importante è quello che porterà all’individuazione di strumenti per la digitalizzazione del deposito dei contrassegni in occasione delle elezioni politiche ed europee attraverso la realizzazione di un applicativo che possa consentire la digitalizzazione del procedimento di deposito dei contrassegni presso il Ministero dell’interno.
5. La sentenza n. 3 del 2025 e il suo immediato seguito rappresentano efficacemente le condizioni ideali attraverso cui il progresso della tecnologia digitale può rendere possibile l’esercizio di un diritto costituzionale in condizioni di piena sicurezza. La Corte e, in questa occasione, il legislatore si sono mossi in una direzione capace di utilizzare le innovazioni tecnologiche in chiave pienamente inclusiva, senza lasciare nessuno indietro. Allo stesso tempo è importante richiamare un importante passaggio della sentenza in cui si sottolinea la necessità di «bilanciare le opportunità offerte dalla modernizzazione non solo con i rischi che questa può, in ipotesi, comportare, ma anche con l’esigenza di una partecipazione politica il più possibile meditata e consapevole: principi che, nelle forme più tradizionali in cui si svolgono le operazioni elettorali, sono favoriti anche attraverso il coinvolgimento dei cittadini in una sorta di “liturgia repubblicana”» (punto 3.2 del Considerato in diritto).
Una sintesi perfetta per orientare i futuri interventi legislativi e delimitarne l’ambito: è proprio il valore e il significato che si attribuisce a questa liturgia a poter orientare le, oramai necessarie e urgenti, scelte in tema di evoluzioni del procedimento elettorale. Sul punto, come già anticipato, chi scrive ritiene che sia importante soffermarsi su questa fase preliminare, per dare sostanza a due valori chiave come inclusione e partecipazione. Il momento del voto, invece, rimane anche una importante cerimonia formale, perché la sua forma aiuta il cittadino a realizzare l’importanza dell’atto cui sta prendendo parte. Risulta, allo stato attuale, difficile pensare a forme alternative a quella “tradizionale”, anche in condizioni di sicurezza granitiche, che ad oggi non sono esistenti.
[1] Di recente A. Apostoli, Astensionismo e partecipazione politica nel quadro di una debole (e limitata) rappresentatività democratica, in A. De Nicola, V. De Santis (a cura di), Prospettive di superamento del voto tradizionale, Editoriale scientifica, Napoli, 2024, 225 ss.
[2] Cfr. le posizioni espresse nella curatela soprarichiamata.
[3] G. Tarli Barbieri, Il rinvio delle elezioni in tempo di Coronavirus nell’ottica delle fonti del diritto, in Osservatorio sulle fonti, numero speciale 2020, 935 ss.
[4] In attesa del deposito delle motivazioni è quanto si apprende dal Comunicato stampa pubblicato in data 9 aprile 2025.
[5] Sul punto di recente si veda R. Cavallo Perin, D.U. Galetta (a cura di), Il Diritto dell’Amministrazione Pubblica digitale, Giappichelli, Torino, 2025.
[6] Sul punto M. Rosini, Note sparse sul voto elettronico, in A. De Nicola, V. De Santis (a cura di), Prospettive di superamento del voto tradizionale, cit., 197 ss.
[7] Sulla vicenda P. Carnevale, La richiesta di referendum abrogativo dinanzi alle risorse della digitalizzazione. Qualche prima considerazione sulla sottoscrizione per via telematica, in Nomos, 3/2021, 1 s.
[8] Per una prima lettura sul tema G. D’Angelo, G. Giacomello, Cybersicurezza. Che cos’è e come funziona, il Mulino, Bologna, 2023.
*Ricercatore in Diritto costituzionale e pubblico (GIUR-05/A), Università degli studi di Firenze