Neurotecnologie e libertà di voto

MICHELA PARENTE*

  1. Neurotecnologie e neurotargeting: una panoramica

Negli Stati Uniti laboratori come NEUROSPARK e NEURO-INSIGHT utilizzano neurotecnologie, ossia tecnologie in grado di monitorare o modulare l’attività neurale, per comprendere come il racconto di una storia personale, la voce più coinvolgente di un candidato o i suoi abiti siano recepiti dai cervelli degli elettori. Allo stesso modo, in Corea del Sud, il “sensory branding” ha trovato applicazione in ambito propagandistico: già due decenni fa, il candidato presidenziale Lee Myung-bak utilizzava il profumo “Great Korea” per stimolare una risposta emotiva durante i suoi comizi, da riproporre poi nei pressi dei seggi elettorali. In India, uno studio recente ha esaminato i fattori irrazionali che influenzano la percezione dei leader politici, dimostrando come anche minimi segnali possano influenzare la propensione al voto[1].

Questi esperimenti rappresentano una declinazione del neuromarketing, un campo definito da Ale Smidts nel 2002 come «una disciplina interdisciplinare che combina neuroscienze, ingegneria e psicologia comportamentale per sviluppare sistemi capaci di rilevare, elaborare e prevedere fattori psicologici incontrollabili al fine di analizzare, predire e guidare il comportamento umano»[2].

Non si tratta più di tecnologie emergenti: il mercato dei servizi di neuromarketing coinvolge più di 150 aziende e vale 1,5 miliardi di dollari, in vertiginosa crescita grazie agli investimenti delle principali Big Tech americane[3].

Neppure può considerarsi una novità l’utilizzo di dati personali ai fini di propaganda elettorale: il caso Cambridge Analytica, nel 2016, ha evidenziato il potenziale manipolativo del microtargeting politico e ha portato alla contrazione dell’approccio liberale precedentemente assunto dall’Unione Europea nei confronti della tecnica.

La sfida senza precedenti che il diritto deve affrontare è la combinazione delle due componenti sopra descritte: l’utilizzo delle neurotecnologie per affinare e potenziare il microtargeting politico.

Tecniche in grado di sondare e influenzare i meccanismi psicologici profondi e spesso inconsci che guidano le decisioni offrono a chi fa campagna elettorale la possibilità di creare un messaggio sulla base della privacy interiore degli elettori, sfruttando sentimenti e pregiudizi di cui questi potrebbero non essere consapevoli.

Il neuromarketing elettorale permette infatti non soltanto di misurare con una maggiore oggettività la risposta dei votanti alle proposte di marketing, ma l’Intelligenza Artificiale è in grado di elaborare l’attività neurale per segmentare i votanti in base alla loro attività cerebrale.  Tale segmentazione permetterà alle campagne di ritagliare messaggi su misura per i diversi gruppi di votanti in maniera più efficace (ad esempio, creando messaggi più o meno razionali o emozionali)[4].

In sintesi, è allarmante che tecnologie come l’elettroencefalogramma (EEG) e l’eye-tracking vengano impiegate per individuare il cosiddetto «tasto ‘compra’» nel cervello dei consumatori. Ancor più preoccupante, tuttavia, è la prospettiva che i processi e i giudizi inconsci delle persone possano essere letti e utilizzati per influenzare le loro decisioni naturali.

Ciò solleva una questione vitale per la tutela della democrazia: il rischio che le scelte elettorali vengano decise al di fuori delle urne e poi imposte attraverso la manipolazione della volontà degli elettori.

  • Il neurotargeting politico: rischi e implicazioni per il diritto

Il neurotargeting politico può essere scomposto in due diversi fenomeni: l’utilizzo delle neurotecnologie per la profilazione degli utenti (neurotracking) e l’impiego delle stesse per la modifica dei meccanismi decisionali dei soggetti.

La profilazione degli utenti attraverso l’uso di dati biometrici è diventata possibile dalla commercializzazione di massa delle neurotecnologie, fino a pochi anni fa confinate nel campo medico.

Le grandi aziende tecnologiche (Apple, Meta, Alphabet), già in possesso di enormi quantità di dati personali raccolti in cambio dell’accesso a software e social media, stanno investendo cifre da record nella ricerca in questi settori e integrando dispositivi per la rilevazione di dati biometrici, come EEG, eye-tracking e monitoraggio della frequenza cardiaca, nelle tecnologie indossabili, quali auricolari e smartwatch.

I dati grezzi, attraverso l’elaborazione mediante algoritmi di machine learning sempre più avanzati e integrati con altri dati, possono rivelare informazioni personali dettagliate. Tra queste figurano l’orientamento sessuale, le caratteristiche della personalità, l’uso di sostanze stupefacenti, le condizioni di salute mentale e, potenzialmente, le opinioni e i pensieri degli individui[5]. Ad esempio, la tecnologia di eye-tracking è in grado di individuare ciò che attira l’attenzione di un soggetto, mentre i dati sulla frequenza cardiaca possono fornire una misura del livello di eccitazione emotiva.

È impossibile per chi è oggetto di profilazione controllare quali dati biometrici sono raccolti: si rimane vulnerabili in un mondo in cui soggetti terzi diventano in grado non solo di leggere ma anche potenzialmente di moderare il forum interno[6].

Accanto al neurotracking, emerge l’aspetto attivo del fenomeno, che riguarda proprio questa capacità di intervento.

Saura Garcia identifica diverse forme di neurotargeting politico, di crescente invasività[7]: dalla persuasione tramite stimoli esterni su soggetti consapevoli e cognitivamente autonomi alla manipolazione diretta utilizzando elettrodi ed impianti.

Nel primo caso, i profili tracciati attraverso la raccolta di dati biometrici diventano la base per la creazione di contenuti personalizzati. Tale pratica è parallela al microtargeting, ma si distingue per il materiale utilizzato per la profilazione, composto di dati emotivi e interni, piuttosto che di informazioni fornite “consensualmente” a seguito dell’accettazione di Termini e Condizioni.

Al lato opposto dello spettro, si trova il neurotargeting più penetrante: l’utilizzo di stimoli elettrici interni per la deviazione dei processi neurali e, di conseguenza, di decisioni politiche, opinioni e ideologie.

Tutti i tipi di neurotargeting condividono la capacità di operare al di sotto della sfera razionale, agendo su meccanismi emotivi e inconsci del soggetto.

In questo contesto, emergono diritti fondamentali, individuati e condivisi dagli studiosi della materia, che rischiano di essere compressi o violati[8].

Il neurotracking può essere associato al diritto alla privacy mentale.

Considerato “ultimo bastione della libertà” e “baluardo della privacy individuale”, si registra una convergenza di studiosi che chiedono sia riconosciuta a ciascuno individuo «la capacità di non divulgare la propria attività mentale»[9]; così come il diritto di farlo, magari per «cercare liberamente ogni mezzo di prova a suo favore (ex art. 111 Cost)».

D’altro canto, anche qualora venisse riconosciuto formalmente, si prospetta per tale diritto il medesimo rischio già concretizzatosi per la privacy “esterna”: la possibilità che i dati vengano scambiati in cambio di beni o servizi, oppure sacrificati in nome di generiche esigenze di “sicurezza”.

Il secondo diritto compromesso dal neurotargeting è il diritto all’integrità cognitiva, interpretato, specularmente alla tutela dell’integrità corporea, come la protezione da alcune forme di interferenza con la mente. Si tratta di un diritto delicato, fondato sulla sovranità del sé, che solleva questioni complesse riguardo ai suoi limiti, come la necessità di distinguere la persuasione legittima dalla manipolazione.

A questi si aggiunge la libertà cognitiva, sintesi e conseguenza dei diritti sopra delineati.

 A differenza delle libertà precedenti, identificate come negative (libertà da lettura e manipolazione mentale), è inteso in una dimensione positiva, come diritto all’autodeterminazione mentale: «il diritto degli individui di utilizzare liberamente le nuove neurotecnologie e la protezione degli individui dall’uso coercitivo o non consensuale di tali tecnologie», secondo C. Bublitz[10].

All’accordo – tra l’altro parziale – su questi valori nel campo delle neurotecnologie, non consegue una comunanza di opinioni sulla tutela degli stessi.

Ci si trova, come quasi sempre accade dinanzi all’innovazione, a dover rispondere alla domanda: «La nuova situazione soggettiva è un diritto antico che si presente con abiti nuovi; oppure è una situazione soggettiva sostanzialmente nuova al momento extra ordinem[11].

Entrambe le impostazioni presentano vantaggi e svantaggi.

Coloro che, come Ienca e Adorno, sostengono l’originalità dei “neurodiritti” – intesi come situazioni giuridiche soggettive volte a contrastare l’uso improprio delle nuove tecnologie – propongono un aggiornamento delle Carte dei diritti umani. Questa prospettiva è stata adottata dalla Costituzione cilena, che ha introdotto diritti come i right to free thought, right to mental integrity, right to mental privacy e right to psychological continuity.

La creazione di nuovi diritti umani ha il pregio del simbolismo, in quanto gli Stati si impegnano esplicitamente a garantire la tutela della libertà cognitiva delle persone, e offre benefici in termini di certezza e uniformità del diritto. Essa incontra, tuttavia, il limite del fattore temporale: non solo sarà necessario affrontare e i pesanti e lunghi processi di revisione richiesti per le Carte dei diritti ma rischia anche un invecchiamento precoce a causa della rapidità dell’evoluzione tecnologica[12].

Dall’altro lato, chi sostiene l’inclusione dei nuovi diritti all’interno della protezione offerta dai diritti tradizionali si trova ad affrontare la difficoltà di individuare le norme da interpretare in maniera estensiva e sistematica: una questione non puramente teorica, poiché richiede di stabilire, per analogia, il regime di tutela applicabile, con tutte le complessità che ciò comporta.

Ad esempio, se la privacy mentale viene ricondotta al diritto alla riservatezza, essa sarà considerata un diritto fondamentale relativo, suscettibile di limitazioni in presenza di un interesse legittimo dello Stato, come previsto dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Al contrario, se la privacy mentale è interpretata come una dimensione della libertà di pensiero – è, infatti, da alcuni vista come una declinazione del diritto a non rivelare i propri pensieri– non sopporterà la medesima compressione. L’articolo 9 della CEDU riconosce la libertà di pensiero come assoluta e non soggetta ad alcun tipo di limitazione[13].

Nonostante il percorso complesso e denso di insidie che gli interpreti saranno chiamati a seguire, la soluzione dell’interpretazione evolutiva appare preferibile.

Quando sono in gioco i processi democratici stessi, infatti, il tempo è l’unità più preziosa. Negli Stati Uniti sono infatti già emersi segnali di un proficuo connubio tra i giganti della tecnologia – già principali detentori e gestori dei dati degli utenti – e il mondo della politica, con il rischio concreto che tali tecnologie vengano messe a disposizione di chi detiene – o deterrà, anche grazie anche a questa alleanza – il potere esecutivo.

L’identità degli aggressori delle libertà, già ampliatasi dagli Stati ai Governi privati di interesse, muta nuovamente: i vecchi e nuovi tiranni delle libertà potrebbero fondersi in un’unica e temibile autorità, capace non solo di controllare ciò che le persone possono esprimere online, ma anche di influenzare i loro stessi pensieri[14].

La tutela dei diritti rebus sic stantibus offre non solo la possibilità che i neurodiritti possano essere riconosciuti come valori fondamentali da tutelare all’interno degli ordinamenti giuridici ma consente anche di condurre, a livello di legge ordinaria, un esame sistematico della normativa in materia di tecnologie, con l’obiettivo di valutare l’applicabilità delle disposizioni vigenti e garantire prontamente la protezione dei neurodiritti. Ciò solleva una serie di sfide significative per rendere il diritto un efficace strumento di tutela.

Con riferimento alla privacy mentale, si pone il problema se l’inclusione dei dati biometrici nel regime previsto per i dati sensibili dall’articolo 9 del General Data Protection Regulation sia sufficiente a garantire la protezione dei dati neuronali, oppure se sia necessaria una configurazione che li renda indisponibili. Per quanto riguarda l’integrità cognitiva, occorre valutare in che misura il pacchetto europeo sui servizi digitali sia applicabile: ad esempio, se il divieto di dark patterns previsto dall’articolo 25 del Digital Services Act possa contrastare le pratiche di neurotargeting, o se, invece, l’uso delle neurotecnologie a fini elettorali possa essere ricompreso nelle pratiche vietate dall’articolo 5, lettera a), dell’Artificial Intelligence Act[15].

Queste sono solo alcune delle possibili interpretazioni. La complessità della materia lascia spazio a molte altre letture e soluzioni, che potrebbero emergere da un dibattito più ampio e approfondito tra studiosi, legislatori e operatori del diritto.

Rispondere a tali quesiti costituisce comunque un imperativo di rango costituzionale.

Indipendentemente dal dibattito sui “nuovi” o “antichi” diritti, si potrebbe ritenere che esista già un obbligo nell’ordinamento italiano, con particolare riferimento al neurotargeting elettorale, di prevenire la formazione di un’opinione pubblica “artificiale”.

A livello individuale, il ricorso al neurotargeting, come descritto, compromette l’autodeterminazione dell’individuo e ostacola «il pieno sviluppo della persona umana», rendendo necessario un intervento legislativo ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione per rimuovere tali pratiche.

A livello sociale, secondo una distinzione un tempo presente nel nostro ordinamento, il neurotargeting potrebbe essere qualificato come pubblicità elettorale piuttosto che propaganda, essendo finalizzato a persuadere – e in alcuni casi manipolare – piuttosto che a convincere razionalmente.

Il legislatore e la Corte costituzionale hanno tradizionalmente manifestato una certa diffidenza nei confronti della pubblicità elettorale, sottolineando l’interesse alla corretta formazione della volontà politica dei cittadini.

L’ordinamento costituzionale è infatti impegnato, per «imprescindibili esigenze di interesse generale», a garantire che «l’espressione del voto rappresenti la libera e genuina manifestazione di volontà»[16].


* Dottoranda in Copyright Law and Cultural Economy – Visual Arts, Performing Arts, New Media, New Technologies, Music and Cultural Heritage

[1] R. Gupta, H. Verma, A.P. Kapoor, Neuromarketing in predicting voting behavior: A case of National elections in India, Journal of Consumer Behaviour, 23/2024, 336 ss.

[2] L. Sposini, Neuromarketing and Eye‐Tracking Technologies Under the European Framework: Towards the GDPR and Beyond, Journal of Consumer Policy, 47/2024, 323.

[3] Neuromarketing Market Size & Share Analysis – Growth Trends & Forecasts (2024 – 2029), in https://www.mordorintelligence.com/industry-reports/neuromarketing-market.

[4] T. Çakar, G. Filiz, Unraveling neural pathways of political engagement: bridging neuromarketing and political science for understanding voter behavior and political leader perception, Front. Hum. Neurosci., 17/2023, 14 ss.

[5] P. Magee, M. Ienca, N. Farahany, Beyond neural data: Cognitive biometrics and mental privacy, Neuron 112/2024, 3018.

[6] S. Khan, D. Cole, H. Ekbia,Autonomy and Free Thought in Brain- Computer Interactions: Review of Legal Precedent for Precautionary Regulation of Consumer Products, HASTINGS SCI. & TECH. L.J. 15/2024, 107.

[7] C. Saura García, Political Neurotargeting: Ethical Challenges of Exploiting Intimate Data in Democratic Processes, SSRN 2024 http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.4886089, 7 ss.

[8] Bisogna premettere che il discorso è aperto sia sul numero che sul contenuto dei diritti messi in discussione dalle nuove tecnologie. La Neurorights Foundation ne propone cinque; M. Ienca e Adorno riducono il numero a quattro; N. Farahany parla invece di un “pacchetto” di diritti della libertà cognitiva che include alcuni diritti relativi – quali la privacy e l’autodeterminazione – e il diritto assoluto alla libertà di pensiero.

[9] European Parliamentary Research Service, The protection of mental privacy in the area of neuroscience, 2024, https://www.europarl.europa.eu/stoa/en/document/EPRS_STU(2024)757807, 41.

[10] S. Ligthart et alii, Minding Rights: Mapping Ethical and Legal Foundations of ‘Neurorights’, Cambridge Quarterly of Healthcare Ethics, 32/2023, 468.

[11] G. De Minico, Nuova tecnica per nuove diseguaglianze. Case law: Disciplina Telecomunicazioni, Digital Services Act e Neurodiritti, infederalismi.it,6/2024, 4.

[12] G. De Minico, Libertà Virtuali. Costituzione e Mercato, Merita Edizioni, Torino 2024, 187.

[13] S. Ligthart et alii, Minding Rights: Mapping Ethical and Legal Foundations of ‘Neurorights’, Cambridge Quarterly of Healthcare Ethics, 32/2023, 470 ss.

[14] G. De Minico, Nuova tecnica per nuove diseguaglianze. Case law: Disciplina Telecomunicazioni, Digital Services Act e Neurodiritti, infederalismi.it, 6/2024, 3 ss.

[15] C. Bublitz, F. Molnár-Gábor, and S. R. Soekadar, Implications of the novel EU AI Act for neurotechnologies, Neuron, 112/2024, 471 ss.

[16] Cfr. F. Lanchester, Voto (diritto di), Enc. dir., XLVI, 1993; Corte cost. 10 maggio 1995 n. 161; Cfr. C. cost. 11 luglio 1961, n. 42.

Scarica il contributo

Condividi questo post

guest
0 Commenti
Oldest
Newest Most Voted
Inline Feedbacks
View all comments