Senato della Repubblica – Commissione Giustizia – XIX Legislatura- Norme in materia di attribuzione del cognome ai figli (AA.SS. non. 2,21,131,198)

Avv. ta ANTONELLA ANSELMO

Premessa.

Il presente contributo è volto a fornire alla Commissione spunti di riflessione per la scelta dei criteri di attribuzione del cognome ai figli e alle figlie all’interno del perimetro di compatibilità costituzionale tracciato dalla Corte costituzionale (sent. nn. 286/2016, 131/2022, preceduta da Ord. 18/2021, e infine sent. n. 135 del 2023).

Dalle citate pronunce emergono due principi fondamentali, incomprimibili, che governano la materia:

  1. il diritto pieno all’identità e al nome in capo alla persona, fin dalla sua nascita, necessario complemento dello status unitario della filiazione, nel riconoscimento del duplice legame con la madre e con il padre (artt. 2, 3 e 22 Cost.), al quale corrisponde l’interesse superiore del minore, da considerarsi sempre prevalente;
  2. l’eguaglianza dei coniugi, quale elemento solidaristico alla base dell’unità familiare sancita dagli artt. 3 e 29 Cost.

La scelta che emerge dai vari testi in esame oscilla, in estrema sintesi, tra i) il criterio automatico del doppio cognome, (di entrambi i genitori), con diverse opzioni circa il loro ordine e ii) quello volontaristico, in base al quale la scelta è rimessa alla concorde volontà genitoriale o in caso di disaccordo, al giudice.

La diversa combinazione tra i due criteri, la loro parificazione/alternanza o la previsione di un ordine preferenziale degli stessi, sono gli elementi che differenziano le varie proposte. 

Nel corso delle audizioni è emerso il dubbio che talune opzioni, pur rispondenti alla pienezza delle libertà personali, e alle correlate responsabilità genitoriali, possano risultare poco efficienti e comunque inadeguate rispetto all’obiettivo di contrasto alle discriminazioni di fatto, in danno della relazione madre-figli/e.

Quelle stesse discriminazioni e limitazioni, esplicitamente riscontrate dalla Corte costituzionale, che hanno radici millenarie e che violano il principio solidaristico su cui si fonda l’unità familiare. 

Si ricordi che nella storia italiana le discriminazioni e i più odiosi limiti all’esercizio dei diritti civili e politici sono stati spesso silenziosi, non dettati da divieti legislativi espressi, ma posti in essere mediante prassi amministrative o interpretazioni errate delle Corti[1].

Oggi si registra una certa titubanza della politica a eliminare formalmente l’invisibilità della relazione madre figli, ostacolo chiaramente accertato dalla Consulta nella sent. 131/2022[2].  Per questa ragione ritengo che il legislatore non possa sottrarsi all’alto compito di attuare, con riconoscimento espresso, il superiore interesse del minore e il superamento dell’approccio adulto-centrico, salvaguardando al contempo la piena responsabilità genitoriale.

La proposta che cercherò di delineare, ossia quella del doppio cognome, nell’ordine madre – padre, contemplata come paradigma generale e automatico[3], salva la diversa e concorde volontà dei genitori, viene riferita alle proposte afferenti all’art. 143 quater c.c., per il valore dirompente e di civiltà giuridica dell’articolo proposto.

Trattasi di regola generale e astratta, l’unica non discriminatoria perché aderente al fatto – il parto – da cui scaturisce la denuncia di nascita e dunque la filiazione.

L’ipotesi scaturisce dall’esperienza professionale maturata innanzi alla Consulta fin dal 2016, nella veste di avvocata della Rete per la Parità, esperta di diritto pubblico, esperienza arricchitasi grazie al continuo confronto in seno alle associazioni di donne che testimoniano da anni una domanda di giustizia sociale (progetti di legge, petizioni ex art. 50 Cost. ecc.).

La nascita: acquisto della capacità giuridica e del diritto al nome.

Come è noto la capacità giuridica si acquista al momento della nascita.L’art. 1, comma 1 c.c. è riferibile ad ogni essere umano e contiene il riconoscimento formale dell’eguaglianza e il superamento di qualsivoglia status differenziato. Si ha nascita – rinviando alla scienza medico legale – con l’acquisizione della piena indipendenza dal corpo materno che si realizza con l’inizio della respirazione polmonare.

La nascita è altresì il momento di acquisizione del diritto al nome, intendendosi per esso sia il prenome che il cognome, come testimonianza del rapporto di filiazione e come estensione legale secondo le disposizioni dell’ordinamento di stato civile (Corte cost. 88/176). Il diritto al nome è qualificato dal nostro ordinamento giuridico, e nel contesto degli obblighi internazionali, come diritto inviolabile della persona, ex se e nelle relazioni familiari e sociali, e si lega strettamente allo status della cittadinanza e a quello della filiazione (art. 22 Cost.). In quanto espressione irrinunciabile dei diritti umani è incomprimibile, assoluto, tendenzialmente indisponibile e trova protezione giuridica anche a livello internazionale. Lo stesso è inoltre tutelabile in via diretta (art. 7 c.c.), non solo da parte del titolare, ma per ragioni familiari anche ad opera di altri soggetti (art. 8 c.c.). Dunque il nome è parte integrante del diritto all’identità personale e alla sua proiezione nelle relazioni familiari e sociali.

La scelta del legislatore, superato il retaggio del patriarcato[4] in seguito all’intervento della Corte costituzionale, dovrà dunque inserirsi in modo armonico e ragionevole all’interno dell’assetto dei principi costituzionali e degli obblighi internazionali, esercitando al contempo quel compito primario di rimozione di ostacoli sociali e culturali, di derivazione storica.

In altri termini l’intervento legislativo dovrebbe essere in grado di rimuovere i cd. “bias cognitivi”, anche di tipo inerziale.

Si definiscono “bias cognitivi” i pregiudizi, ossia le distorsioni che le persone attuano nelle valutazioni di fatti e avvenimenti. Tali distorsioni spingono a ricreare una propria visione soggettiva che non corrisponde fedelmente alla realtà. In sintesi, i “bias cognitivi” rappresentano il modo con cui il nostro cervello distorce di fatto la realtà.

Proiettati nel mondo del diritto, i pregiudizi producono discriminazioni.

Il cognome composto come criterio automatico. L’ordine dei cognomi in aderenza al fatto: il parto.

Il criterio automatico,non discriminatorio,di attribuzione del cognome composto al momento della nascita è quello che risponde maggiormente all’interesse del minore e alle esigenze di semplificazione.

Per risultare non discriminatorio lo stesso deve essere oggettivo e rispondente fedelmente alla realtà, al fatto; inoltre nella formazione della denuncia e di iscrizione nei registri di Stato civile deve rappresentare il duplice legame di chi viene al mondo, sia con la madre che con il padre.

La presenza di tali requisiti soddisfa i vari interessi in gioco, in primis i diritti fondamentali della persona, (ossia quello del/della neonata, che sorgono al momento della nascita) e la pienezza dell’identità personale, come sopra descritti, riducendo l’incertezza giuridica e gli ostacoli in sede di applicazione delle disposizioni di legge (artt. 2, 3 e 22 Cost.).  Al contempo il cognome composto attua il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei genitori (art. 3 e 29 Cost.), principio fondamentale indicato dalla Corte costituzionale.

L’automatismo deve tuttavia poter essere temperato dalla possibilità di una diversa e concorde scelta dei genitori, affinché la previsione generale e astratta dettata dal legislatore non si tramuti, adottando un criterio rigido e inderogabile, nell’ingerenza sproporzionata da parte dei pubblici poteri nella vita familiare e privata della persona (sul punto rinvio alla giurisprudenza CEDU citata dalla Corte costituzionale). È evidente che la diversa scelta dei genitori deve essere dettata dalla valutazione, in concreto, del superiore interesse del minore: trattasi di responsabilità e non di potestà (di antica impronta proprietaria e adulto-centrica). 

Con particolare riguardo all’ordine di attribuzione dei cognomi occorre premettere quanto segue.

La giurisprudenza della Corte costituzionale, come è noto, ha innovato la materia sicché, in via generale, il cognome si presume avente natura composta, nel senso che la sua struttura può (o meglio, dovrebbe) essere costituita da due distinti elementi onomastici che rispecchiano la duplice origine biologica, affettiva e relazionale rispetto ai genitori.

Per comodità di esposizione si potrebbero differenziare i due elementi onomastici con il simbolo X (per la madre) e Y (per il padre).

Se tale è il presupposto precisato dalla Corte costituzionale, la riforma in itinere, considerato l’ordinamento di stato civile e le prassi amministrative già in essere, dovrà introdurre i seguenti adeguamenti:

  • uno o più criteri di scelta dell’ordine tra i due elementi onomastici (ossia il cognome X della madre e quello Y del padre),
  • un meccanismo che eviti la moltiplicazione dei cognomi nel corso dell’avanzare delle diverse generazioni e limiti incertezze giuridiche e conflittualità all’interno della coppia.

Inoltre il criterio e il meccanismo prescelti dovranno garantire la non discriminazione e, per quanto possibile, la completa riconoscibilità sociale delle rispettive famiglie di origine.

Ebbene, l’esatta rappresentazione dell’evento naturale è un criterio oggettivo, auto-applicativo, che rappresenta fedelmente il fatto, proiettandolo nel mondo del diritto.

Lo stesso ha contenuto non discriminatorio, diretto e/o indiretto, e inoltre è di facile applicazione.

In fondo la riforma che si attende potrebbe limitarsi all’inserimento, come primo elemento, del cognome della madre, illegittimamente escluso dal previgente sistema accertato costituzionalmente illegittimo, al momento della dichiarazione innanzi all’ufficiale di stato civile, omissione che inficia la formazione dell’atto (cfr. artt. 11 e 12 Dpr 396/2000).

L’ordinamento di stato civile: l’inscindibile connessione tra parto e nascita.

In base all’art. 28 del DPR 396/2000, per quanto riguarda le nascite, si dispone:1. Negli archivi di cui all’articolo 10 si iscrivono: a) le dichiarazioni di nascita rese direttamente all’ufficiale dello stato civile; b) gli atti di riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio ricevuti dall’ufficiale dello stato civile a norma dell’articolo 254, primo comma, del codice civile; c) gli atti di assenso prestati ai sensi dell’articolo 250, secondo comma, del codice civile, se successivi al riconoscimento, ricevuti dall’ufficiale dello stato civile; d) gli atti di consenso prestati ai sensi dell’articolo 250, terzo comma, del codice civile, se anteriori al riconoscimento dell’altro genitore, ricevuti dall’ufficiale dello stato civile; e) i processi verbali di cui all’articolo 38.

2. Nei medesimi archivi si trascrivono:

a) le dichiarazioni di nascita rese al direttore sanitario dell’ospedale o della casa di cura in cui è avvenuta la nascita;

b) gli atti di nascita ricevuti all’estero;

c) gli atti e i processi verbali relativi a nascite avvenute durante un viaggio marittimo, aereo o ferroviario;

d) gli atti di nascita ricevuti dagli ufficiali designati per le operazioni eseguite dalle forze di pace o di guerra;

e) le sentenze straniere e i provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione in materia di nascita;

f) i decreti di cambiamento o aggiunta di nome e cognome e i provvedimenti che revocano o annullano i decreti medesimi;

g) i provvedimenti in materia di adozione.

3. Negli archivi suddetti si iscrivono anche gli atti che si sarebbero dovuti iscrivere o trascrivere e che vengono formati per ordine del tribunale perchè in precedenza omessi.

Il successivo art. 29, DPR cit., stabilisce: 

1. La dichiarazione di nascita è resa nei termini e con le modalità di cui all’articolo 30.

2. Nell’atto di nascita sono indicati il luogo, l’anno, il mese, il giorno e l’ora della nascita, le generalità, la cittadinanza, la residenza dei genitori del figlio nato nel matrimonio nonché di quelli che rendono la dichiarazione di riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio e di quelli che hanno espresso con atto pubblico il proprio consenso ad essere nominati, il sesso del bambino e il nome che gli viene dato ai sensi dell’articolo 35.

3. Se il parto è plurimo, se ne fa menzione in ciascuno degli atti indicando l’ordine in cui le nascite sono seguite.

4. Se il dichiarante non dà un nome al bambino, vi supplisce l’ufficiale dello stato civile.

5. Quando si tratta di bambini di cui non sono conosciuti i genitori, l’ufficiale dello stato civile impone ad essi il nome ed il cognome.

6. L’ufficiale dello stato civile accerta la verità della nascita attraverso l’attestazione o la dichiarazione sostitutiva di cui all’articolo 30, commi 2 e 3.

7. Nell’atto di nascita si fa menzione del modo di accertamento della nascita.

L’ art. 30 (Dichiarazione di nascita) prevede inoltre:  

1. La dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata.

2. Ai fini della formazione dell’atto di nascita, la dichiarazione resa all’ufficiale dello stato civile è corredata da una attestazione di avvenuta nascita contenente le generalità della puerpera nonché le indicazioni del comune, ospedale, casa di cura o altro luogo ove è avvenuta la nascita, del giorno e dell’ora della nascita e del sesso del bambino.

3. Se la puerpera non è stata assistita da personale sanitario, il dichiarante che non è neppure in grado di esibire l’attestazione di constatazione di avvenuto parto, produce una dichiarazione sostitutiva resa ai sensi dell’articolo 2 della legge 4 gennaio 1968, n. 15.

4. La dichiarazione può essere resa, entro dieci giorni dalla nascita, presso il comune nel cui territorio è avvenuto il parto o in alternativa, entro tre giorni, presso la direzione sanitaria dell’ospedale o della casa di cura in cui è avvenuta la nascita. In tale ultimo caso la dichiarazione può contenere anche il riconoscimento contestuale di figlio nato fuori del matrimonio e, unitamente all’attestazione di nascita, è trasmessa, ai fini della trascrizione, dal direttore sanitario all’ufficiale dello stato civile del comune nel cui territorio è situato il centro di nascita o, su richiesta dei genitori, al comune di residenza individuato ai sensi del comma 7, nei dieci giorni successivi, anche attraverso la utilizzazione di sistemi di comunicazione telematici tali da garantire l’autenticità della documentazione inviata secondo la normativa in vigore.

7. I genitori, o uno di essi, se non intendono avvalersi di quanto previsto dal comma 4, hanno facoltà di dichiarare, entro dieci giorni dal parto, la nascita nel proprio comune di residenza. Nel caso in cui i genitori non risiedano nello stesso comune, salvo diverso accordo tra di loro, la dichiarazione di nascita è resa nel comune di residenza della madre. In tali casi, ove il dichiarante non esibisca l’attestazione della avvenuta nascita, il comune nel quale la dichiarazione è resa deve procurarsela presso il centro di nascita dove il parto è avvenuto, salvo quanto previsto al comma 3.

8. L’ufficiale dello stato civile che registra la nascita nel comune di residenza dei genitori o della madre deve comunicare al comune di nascita il nominativo del nato e gli estremi dell’atto ricevuto.

La dichiarazione costituisce un obbligo, come si evince dalle disposizioni che riguardano i casi di presentazione tardiva o omessa (artt. 31 e 32 DPR cit.).

L’art. 33 – sul cognome – contemplando la regola automatica e inderogabile del solo patronimico, ha subito la scure della dichiarazione di illegittimità costituzionale[5].

 L’art. 34, parimenti dichiarato illegittimo per il patronimico, prevede limiti all’attribuzione dei nomi, es, nomi stranieri da correggere con segni diacritici o nomi ridicoli ecc., e affida all’Ufficiale di stato civile di ammonire il dichiarante e vigilare al riguardo (con obbligo di segnalazione al procuratore della Repubblica). Gli artt. 35 e 36 riguardano il nome (rectius il prenome), che può essere composto da più elementi e deve corrispondere al sesso biologico del nato /nata.

L’art. 44 prevede l’ipotesi di riconoscimento del nascituro ed è atto riferibile indistintamente al padre e alla madre (definita letteralmente gestante).

L’art. 47 afferisce al riconoscimento di un figlio nato fuori del matrimonio, già riconosciuto dall’altro genitore. In tale caso l’ufficiale dello stato civile deve darne notizia al genitore che per primo ha effettuato il riconoscimento e che non ha prestato il proprio consenso.

L’art. 89 che contempla la possibilità di modifica del cognome mediante richiesta al Prefetto include di aggiungere, al proprio, un altro cognome.

 Illustrato nel dettaglio l’ordinamento di stato civile, non si vede dunque la difficoltà a varare una riforma che adotti come criterio generale e astratto, pur derogabile, la struttura composta del doppio cognome, secondo lo svolgersi del fatto: parto (riconoscimento da parte della madre) – dichiarazione (riconoscimento da parte del padre).

                                                   ****

Detto ordine, rispondente al fatto, corrisponde anche al cd. criterio cronologico di formazione degli atti, ampiamente utilizzato nel diritto amministrativo in alternativa agli altri criteri oggettivi, di tipo casuale (sorteggio, ordine alfabetico).

Nel procedimento che si conclude con la formazione dell’atto di nascita e successiva iscrizione si inseriscono i seguenti momenti giuridicamente rilevanti, di diversa natura (atti fideifacenti, dichiarazioni di scienza, verifiche e atti di vigilanza e segnalazione da parte dell’Ufficiale di stato civile ecc.):

  • l’attestazione di constatazione di avvenuta nascita da parte del personale sanitario, in cui sono indicate le generalità della madre (salvo che non voglia essere nominata), attestazione che può essere sostituita da dichiarazione sostitutiva resa ai sensi dell’articolo 2 della legge 4 gennaio 1968, n. 15;
  • l’accertamento della verità del fatto naturale (parto/nascita) ad opera dell’Ufficiale di stato civile che verifica la regolarità dell’attestazione e/o della dichiarazione sostitutiva.
  • la dichiarazione di nascita da parte dei soggetti legittimati e/o i successivi riconoscimenti;
  • nel caso di parto plurimo, la formazione di distinti atti di nascita secondo l’ordine cronologico di separazione dal grembo materno (ed infatti nell’attestazione deve essere indicata anche l’ora della nascita)
  • la formazione dell’atto di nascita e la iscrizione nei Registri di stato civile, espressione di una funzione di natura pubblicistica e di certezza legale;
  • in caso di diversi comuni di residenza dei genitori l’iscrizione deve includere, sempre, anche i Registri presso il Comune di residenza della madre.

La dichiarazione di nascita, che comporta, mediante attribuzione del cognome paterno anche il riconoscimento della filiazione da parte del padre, è quindi preceduta dall’attestazione di constatazione nascita – atto presupposto – in cui è già riportato il nome della puerpera/madre.

Salva la volontà di non essere nominata, ipotesi eventuale e poco frequente, l’attestazione è già riconoscimento della filiazione rispetto alla madre, e dunque della piena responsabilità genitoriale. L’attestazione è un documento amministrativo che viene obbligatoriamente allegato alla dichiarazione di nascita, costituendo parte integrante dell’atto di nascita e dei Registri.

Attualmente, attraverso un meccanismo di dubbia compatibilità costituzionale, il nome della puerpera/ madre, che non abbia chiesto di non essere nominata, si perde inspiegabilmente in fase di attribuzione del cognome, e ciò nonostante le formalità procedurali sopra descritte (verifica di autenticità/regolarità dell’attestazione di avvenuta nascita e sua allegazione in sede di atto di nascita).

Trattasi di una discriminazione indiretta, nella forma omissiva, che rende invisibile la relazione materna e che si inserisce, non senza paradosso, proprio al momento del parto: l’esistenza di questa relazione viceversa è attestata, ma poi viene occultata nel momento successivo di formazione dell’atto di nascita e a prescindere dal contenuto delle dichiarazioni dei soggetti legittimati.

Poiché l’attestazione – contenente il cognome della madre – precede la dichiarazione di nascita, secondo il criterio cronologico – oggettivo e rispondente al verificarsi del fatto naturale denunciato – il primo elemento onomastico (a titolo esemplificativo, denominato X) non può che essere riservato al cognome materno.

Il cognome paterno è poi inserito come secondo elemento onomastico (elemento Y) quale effetto della dichiarazione all’ufficiale di stato civile, in ragione della natura di atto conseguenziale, ancorché connesso all’evento parto, da cui trae origine.

Se tale è la struttura del doppio cognome, secondo il criterio cronologico dell’attestazione del parto come atto presupposto, si evince anche il meccanismo che evita il moltiplicarsi dei cognomi.

Al succedersi di ogni generazione la madre sceglierà, con dichiarazione propria e/o procura speciale, quale tra i propri cognomi andrà inserito nel primo elemento onomastico (X). Parimenti il padre sceglierà quale tra i propri cognomi, espressione della linea patrilineare, andrà inserito quale secondo elemento onomastico (Y).

Essendo ciascun genitore responsabile dell’elemento onomastico a sé riservato, la scelta è autonoma e di natura personale. Quale primo atto della responsabilità genitoriale verso il neonato o la neonata siffatto criterio evita condizioni di conflittualità o veti reciproci.

Inoltre mediante tale meccanismo si conservano tendenziali effetti di immediata riconoscibilità sociale, sia pur in via presuntiva: in altri termini nel prossimo futuro si potrà presumere che l’elemento onomastico X rappresenti la famiglia della madre e Y quello del padre.

Contemplando ipotesi derogatorie in caso di riconoscimento da parte di un solo genitore questi potrebbe trasmettere due elementi onomastici o comunque optare per uno solo.

Parimenti la diversa e concorde volontà genitoriale può estendersi all’attribuzione di un solo cognome ovvero al diverso ordine (es, padre, per elemento X – madre, per elemento Y), tenendo conto delle esigenze familiari e personali, incomprimibili.

Tale meccanismo consentirebbe di escludere discriminazioni indirette (figli riconosciuti da un solo genitore) incompatibili con la filiazione intesa come status unitario, scevro da differenziazioni.

L’aderenza al fatto (il parto) e il connesso criterio cronologico escludono effetti discriminatori in danno del padre perché oggettivi, ragionevoli, pienamente rispondenti al dato reale, dunque privi di una volontà legislativa volta a creare asimmetrie o ineguaglianze tra i genitori.

Non è infatti verosimile che il padre possa ritenersi leso o marginalizzato dal riconoscimento del parto come momento di emersione giuridica del legame madre figlio/a. Né può ravvisarsi una gradazione nell’intensità delle responsabilità genitoriali atteso il carattere unitario dello status della filiazione e la conferma dell’eguaglianza morale e giuridica dei genitori nel nuovo assetto solidaristico della famiglia chiarito dalla Corte costituzionale.

L’unità familiare che emerge dalle sentenze della Corte costituzionale è viceversa arricchita dal riconoscimento delle “differenze” ex art. 3 Cost.

Ogni diverso ordine, posponendo la madre e dunque discostandosi dal fatto (ossia il parto come momento della nascita), dovrebbe trovare adeguata giustificazione per non risultare discriminatorio sotto forma indiretta e omissiva.

Mi auguro di aver fornito spunti utili di riflessione e Vi ringrazio dell’attenzione.


[1] Si pensi al lungo percorso per abbattere i limiti alla capacità giuridica delle donne, raggiunto con L. n. 1776 del 17 luglio 1919, che non approdò né al diritto di voto né al diritto di accertamento della paternità ASCD, Legisl. XXIV, Incarti delle Commissioni incaricate dello studio dei disegni di legge e delle proposte d’iniziativa parlamentare, n. 728, Disposizioni relative alla capacità giuridica della donna, adunanza del 3 marzo 1917 (Uffici); Camera, Documenti. Disegni di legge e relazioni, vol. XXII, disegno di legge n. 728/A, seduta del 27 febbraio 1917, pp. 42 ss., anche per un’ampia analisi della normativa straniera. L’avvocato Raffaele Cotugno ricordò « fiumi di tronfia eloquenza » versati per approvare una « modestissima leggina » che accoglieva solo parte delle richieste femminili (non ci si occupava, ad esempio, della ricerca della paternità o del divorzio): il Parlamento, così facendo, si limitava a risolvere « un tema che si trascina da molti anni » con una piccola riforma, strappata « con una lotta diuturna come se si trattasse di rifare il mondo ».

[2]10.1.– La selezione, fra i dati preesistenti all’attribuzione del cognome, della sola linea parentale paterna, oscura unilateralmente il rapporto genitoriale con la madre. A fronte del riconoscimento contemporaneo del figlio, il segno dell’unione fra i due genitori si traduce nell’invisibilità della donna. L’automatismo imposto reca il sigillo di una diseguaglianza fra i genitori, che si riverbera e si imprime sull’identità del figlio, così determinando la contestuale violazione degli artt. 2 e 3 Cost.”

[3] Corte cost. sent. 131/2022 cit. “11.2.– Di conseguenza, questa Corte, preso atto che delle numerose proposte di riforma legislativa, presentate a partire dalla VIII legislatura, nessuna è giunta a compimento, non può più esimersi dal rendere effettiva la «legalità costituzionale» (ordinanza di autorimessione n. 18 del 2021). Il carattere in sé discriminatorio della disposizione censurata, il suo riverberarsi sull’identità del figlio e la sua attitudine a rendere asimmetrici, rispetto al cognome, i rapporti fra i genitori devono essere rimossi con una regola che sia il più semplice e automatico riflesso dei principi costituzionali coinvolti. Il cognome del figlio deve comporsi con i cognomi dei genitori, salvo – come si dirà (infra punto 12) – loro diverso accordo. La proiezione sul cognome del figlio del duplice legame genitoriale è la rappresentazione dello status filiationis: trasla sull’identità giuridica e sociale del figlio il rapporto con i due genitori. Al contempo, è il riconoscimento più immediato e diretto «del paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali» (sentenza n. 286 del 2016)”.

[4] Vocabolario. De Mauro: Organizzazione familiare in cui l’individuo più anziano di sesso maschile è a capo della famiglia, detiene l’autorità e la proprietà e in cui la trasmissione di beni e diritti avviene secondo la linea maschile. Nel diritto romano si distingueva l’agnatio, legame afferente alla patria potestas, rilevante giuridicamente e per via maschile, dalla cognatio, parentela femminile, valevole non per il diritto ma solo dal punto di vista naturalistico.

[5]  Art. 33 1. Il figlio legittimato ha il cognome del padre, ma egli, se maggiore di età alla data della legittimazione, può scegliere, entro un anno dal giorno in cui ne viene a conoscenza, di mantenere il cognome portato precedentemente, se diverso, ovvero di aggiungere o di anteporre ad esso, a sua scelta, quello del genitore che lo ha legittimato. 2. Il figlio maggiorenne che subisce il cambiamento o la modifica del proprio cognome a seguito della variazione di quello del genitore da cui il cognome deriva, nonche’ il figlio nato fuori del matrimonio, riconosciuto, dopo il raggiungimento della maggiore eta’, da uno dei genitori o contemporaneamente da entrambi, hanno facolta’ di scegliere, entro un anno dal giorno in cui ne vengono a conoscenza, di mantenere il cognome portato precedentemente, se diverso, ovvero di aggiungere o di anteporre ad esso, a loro scelta, quello del genitore 3. Le dichiarazioni di cui al comma 2 sono rese all’ufficiale dello stato civile del comune di nascita dal figlio personalmente o con comunicazione scritta. Esse vengono annotate nell’atto di nascita del figlio medesimo.

La Corte Costituzionale, con sentenza 21 dicembre 2016, n. 286 (in Gazz. Uff., 28  dicembre, n. 52), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo, nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno. Circolare – Ministero dell’Interno 24 dicembre 2012 N. 33; De Jure, Giuffrè: Non più “nel (solo) cognome” del padre. Per la Consulta è illegittima l’automatica attribuzione del cognome paterno ai figli (Ruggirello Marta); – Nomen omen: la fine della regola del patronimico (Bellisario Elena)Il Familiarista Identità personale dell’adottato e automatismo dell’ordine dei cognomi (Lestini Andrea) Il Familiarista BUSSOLA – Cognome (Russo Rita) Il Familiarista NEWS – L’attribuzione automatica del cognome paterno viola la Costituzione? (Marino Giuseppe)

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Sul medesimo argomento vedi anche il contributo di Carla Bassu

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