Rapporto sul Global Gender Gap del World Economic Forum 2024: uno sguardo sull’Italia.

MARTA SOSA NAVARRO*

Il Global Gender Gap pubblicato regolarmente dal World Economic Forum fin dal 2006 raggiunge quest’anno la maggiore età: fin dalla sua prima stesura, il rapporto ha valutato e confrontato il divario di genere in 146 economie, coprendo oltre il 93% della popolazione mondiale e valutando la parità di genere sotto quattro profili strategici. 

Uno degli aspetti più critici riguarda la partecipazione economica e l’accesso a opportunità di lavoro di qualità. Nonostante i progressi, solo il 60,5% del divario di genere è stato colmato, segnalando profonde disuguaglianze ancora presenti nel mercato del lavoro. Le donne continuano a guadagnare meno rispetto agli uomini, a essere sottorappresentate nei ruoli dirigenziali e ad affrontare ostacoli nell’accesso alle posizioni di alto livello. 

Sul fronte dell’istruzione, i dati sono più incoraggianti: il 94,9% del divario di genere è stato colmato. Ciò significa che l’accesso all’istruzione di base e superiore è ormai quasi equamente distribuito tra uomini e donne. Tuttavia, persistono differenze significative nei percorsi scelti. Le donne continuano a essere sottorappresentate nei campi delle STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), aree cruciali per il futuro sviluppo economico e tecnologico. Questo squilibrio riflette stereotipi di genere ancora radicati, che influenzano le scelte educative e professionali delle nuove generazioni. 

In ambito sanitario, i risultati sono notevolmente positivi: il 96% del divario di genere è stato superato. Questo indica che, a livello globale, l’aspettativa di vita e il rapporto tra i sessi alla nascita sono ormai quasi equilibrati. È un dato confortante che dimostra come, in questo settore, le politiche e i progressi tecnologici abbiano avuto un impatto significativo nel ridurre le disparità di genere.

Il dato più preoccupante emerge dall’analisi dell’empowerment politico. Qui, solo il 22,5% del divario è stato colmato, evidenziando una marcata sottorappresentazione femminile nelle strutture decisionali. A livello globale, le donne occupano una percentuale ancora troppo bassa di posizioni politiche di rilievo. 

La metodologia utilizzata da questa pubblicazione annuale è basata su un indice che assegna un punteggio da 0 a 1, dove 1 indica la piena parità di genere. I dati provengono da fonti internazionali come l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo e l’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’edizione 2024 rivela che il 68,5% del divario di genere globale è stato colmato, con un miglioramento dello 0,1% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, al ritmo attuale, ci vorranno 134 anni per raggiungere la piena parità di genere a livello mondiale. 

Emerge dal rapporto che le problematiche legate al divario di genere variano significativamente da una regione all’altra e risultano profondamente influenzate da fattori contestuali quali il livello di sviluppo economico, il grado di povertà e le strutture sociali e culturali predominanti. Questo implica che le disuguaglianze di genere non possono essere analizzate o affrontate in maniera generalizzata, poiché le cause sottostanti e le manifestazioni specifiche differiscono notevolmente tra i diversi contesti geografici ed economici.

In ambito europeo, è noto che il perseguimento della parità di genere è un obiettivo fondamentale che attraversa l’intero corpus normativo dell’Unione Europea, come sancito dagli articoli 2 e 3 TUE e dagli articoli 153-157 TFUE. Tra gli strumenti di diritto derivato progettati per affrontare specificamente il divario retributivo di genere, spicca la Direttiva 970/2023. Entrata in vigore a giugno 2023, questa Direttiva dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 7 giugno 2026. Il suo obiettivo principale è quello di promuovere la parità salariale attraverso l’introduzione di meccanismi di trasparenza retributiva e strumenti efficaci per garantirne l’applicazione.

Uno dei principali insegnamenti che emerge da questo documento riguarda la situazione in Italia. Il rapporto ha posizionato il Paese all’87° posto su 146 Paesi e al 37° posto su 40 nella regione europea, con un punteggio di 0,703 su 1, evidenziando un lieve peggioramento rispetto al 79° posto dell’anno precedente. Il dato più riguarda proprio la dimensione della partecipazione economica e al lavoro, dove l’Italia è all’ultimo posto tra i Paesi dell’Unione Europea e al centoundicesimo a livello mondiale. Sorprende scoprire che ancora oggi la partecipazione femminile al mercato del lavoro è al 70%, situazione che si aggiunge a una persistente sottorappresentazione nelle posizioni di leadership. 

Il livello significativo di divario retributivo tra uomini e donne, nonostante l’esistenza dal 2006 di un Codice delle pari opportunità, successivamente rafforzato dalla L. 162 del 2021, conferma una realtà già evidenziata in passato: le normative, da sole, non sono sufficienti a eliminare le disuguaglianze di genere. 

Questo limite era già emerso nella giurisprudenza della Corte di Giustizia della UE nella sentenza Defrenne c. Sabena(1976), in cui la Corte aveva riconosciuto l’effetto diretto orizzontale del principio di parità salariale, consentendo che fosse applicato non solo nei confronti dello Stato, ma anche tra soggetti privati. Nel caso specifico, Gabrielle Defrenne, assistente di volo per la compagnia aerea belga Sabena, aveva subito una discriminazione salariale rispetto ai colleghi maschi che esercitavano mansioni identiche.

Il rapporto del WEF si divide in due grandi sezioni: la prima presenta lo stato dell’arte, fornendo un quadro dettagliato dei divari di genere a livello globale. La seconda esplora l’impatto delle disuguaglianze di genere sulla crescita economica e sulle transizioni globali. Questa seconda sezione si conclude con un appello all’azione per contrastare il divario di genere all’interno del quale risalta l’iniziativa Global Gender Party Sprint 2030, che mira a concentrarsi su l’innovazione e la crescita sostenibile. Tra gli obiettivi principali di questa proposta si trovano la ristrutturazione dei mercati del lavoro, il miglioramento dei sistemi a livello industriale e l’integrazione della parità di genere nei processi globali legati a tecnologia e azione climatica. Uno dei più importanti contributi pratici del rapporto è la guida per l’utente, nelle sezioni finali, che spiega, in maniera molto dettagliata, come interpretare i dati e utilizzare il rapporto.

Da quanto esposto emerge chiaramente che è indispensabile un cambio di paradigma che coinvolga le istituzioni sia a livello legislativo che a livello educativo, nonché gli attori privati, il cui impegno nel rendere effettivo il principio di eguaglianza economica risulta fondamentale. La sfida che ci attende richiede una trasformazione sociale profonda, in cui ogni individuo, organizzazione e istituzione è chiamato a dare il proprio contributo.

Nell’attesa del prossimo rapporto, rimane cruciale riflettere su come, a distanza di quasi 80 anni, queste parole, pronunciate da Teresa Mattei nell’Assemblea Costituente nel 1947, conservino una sorprendente attualità: 

“È nostro convincimento, che, confortato da un attento esame storico, può divenire certezza, che nessuno sviluppo democratico, nessun progresso sostanziale si produce nella vita di un popolo se esso non sia accompagnato da una piena emancipazione femminile; e per emancipazione noi non intendiamo già solamente togliere barriere al libero sviluppo di singole personalità femminili, ma intendiamo un effettivo progresso e una concreta liberazione per tutte le masse femminili e non solamente nel campo giuridico, ma non meno ancora nella vita economica, sociale e politica del Paese”.

* Ricercatrice di diritto internazionale Università degli Studi di Milano-Bicocca

Scarica il contributo

Condividi questo post

guest
0 Commenti
Oldest
Newest Most Voted
Inline Feedbacks
View all comments